STORIA
La fondazione della pieve romanica di Santa Maia in Castello è legata ad una leggenda risalente all’epoca della dominazione longobarda. Si narra infatti che re Astolfo, nella metà del VIII secolo, durante una battuta di caccia nelle campagne carpigiane perse il suo amato falcone. Dopo lunghe ricerche il predatore venne trovato sui rami di un carpine e il re per rendere grazie alla Madonna ordinò la costruzione di una chiesa.
Leggenda a parte la storia del complesso può essere ricostruito a grandi linee da tre lastre murate nella facciata: nella prima (probabile rifacimento cinquecentesco di un’iscrizione più antica) si segnala il 751 come data di fondazione; nella seconda si celebra la consacrazione della chiesa officiata da papa Lucio III nel 1184, mentre nella terza si attesta la parziale demolizione dell’edificio e la sua trasformazione in oratorio, avvenuta nel 1515.
La pieve fu ricostruita più volte: infatti sull’antico complesso longobardo venne edificata una nuova chiesa nel corso del XII secolo, probabilmente per volere della contessa Matilde di Canossa. Nel primo Cinquecento, come attesta la lapide sopracitata, rimasero dell’antico complesso rimasero in piedi solo l’abside e la zona presbiteriale, alle quali è stata aggiunta una facciata rinascimentale ancor oggi visibile.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La pieve romanica probabilmente era costituita da tre navate coronate da absidi. Dell’antica chiesa oggi si conservano solamente l’ultima campata e la zona absidale, ma è ancora visibile l’originale partizione basilicale in tre navate, sebbene il sobrio aspetto in mattoni e le travi di copertura derivino dal restauro tardo-ottocentesco di Achille Sammarini.
Nella facciata rinascimentale, voluta dal signore della città Alberto Pio, è inserito un portale romanico collocato in precedenza nel fianco settentrionale della chiesa e lì collocato poco prima dell’abbattimento per la realizzazione del nuovo oratorio rinascimentale. Il portale presenta stipiti e colonnine addossate sono abbelliti da capitelli decorati con foglie ripiegate a formare l’archivolto. Al di sopra dell’architrave ornata a racemi, una lunetta con scolpita la Crocifissione. Il restauro di fine Ottocento ha riproposto le antiche strutture romaniche con la ricostruzione dell’abside e del fianco meridionale prendendo a modello le parti sopravvissute, in particolare il lato settentrionale e i due capitelli con protomi animali, avvicinati alla scuola di Wiligelmo. La muratura a sinistra del portale e l’abside presentano il paramento originario, caratterizzato da lesene coronate da capitelli e archi ciechi, intervallati da archetti pensili, a imitare le strutture del duomo di Modena. A fianco della chiesa domina l’alto campanile del 1221 che termina con una cuspide a coronamento della loggetta circondata da quattro torrette. La torre campanaria presenta un doppio ordine di bifore abbellite da capitelli figurati, la cui decorazione deriva dai bestiari medievali avvicinandola così all’architettura lombarda.
All’interno la pieve conserva nella parete di controfacciata un ambone marmoreo del XII secolo, composto da lastre che probabilmente facevano parte di un’antica recinzione presbiteriale. Il pulpito è costituito da una cassa rettangolare sostenuta da due mensole e abbellita da sculture, attribuite a Nicolò, uno dei più importanti seguaci di Wiligelmo. I rilievi presentano i simboli di tre evangelisti: il leone (san Marco), l’aquila (san Giovanni) e il toro (san Luca) che rivelano una certa attenzione per il dato naturalistico. La lastra del lato sinistro raffigura l’angelo di san Matteo che tiene il libro aperto tra le mani caratterizzate da una grande minuzia nei particolari. Sul lato destro si vede la figura di un profeta scolpito su uno sfondo a doppia pelta, motivo usato nel duomo di Modena per rappresentare l’acqua nelle formelle della Genesi.
Da notare anche due cappelle decorate secondo il gusto tardogotico: quella di San Martino, posta a coronamento della navata sinistra e affrescata nel 1424 da Antonio Alberti da Ferrara, e quella di Santa Caterina, dipinta all’inizio del Quattrocento da maestranze affini alla bottega di Giovanni da Modena.
Nella navata destra è collocato l’imponente sarcofago di Manfredo Pio, primo signore di Carpi, realizzato da Sibellino da Caprara nel 1351. Manfredo è raffigurato come gisant sopra il catafalco contornato da due angeli reggi-cero. Sul fronte della cassa si susseguono tre formelle che raffigurano (partendo da sinistra) Manfredo viene presentato da Santa Caterina e da San Giovanni Battista alla Vergine Maria, posta nel riquadro centrale, mentre sulla destra San Giorgio a cavallo uccide il drago. I lati corti invece sono decorati da un cavaliere, identificato col defunto e una Crocifissione.
LETTURE CONSIGLIATE
Tesori e segreti delle cattedrali romaniche di Modena e Parma, Parma 2007
Carpi: la chiesa della Sagra, Modena 1984