Storia
Il 30 aprile del 1106 le reliquie di San Gimignano, vescovo e patrono di Modena vissuto nel IV sec. d.c., furono traslate nella cripta della nuova cattedrale cittadina, dedicata a Maria Vergine Incoronata. Il 7 ottobre del medesimo anno, il pontefice Pasquale II giunse in città per effettuare la ricognizione dei preziosi resti del santo e per consacrarne l’altare. Alla solenne cerimonia assistettero la magna comitissa Matilde di Canossa, il vescovo, i nobili (milites) e i borghesi (cives), ossia tutto il consesso cittadino che aveva unanimemente deliberato la costruzione dell’edificio, in sostituzione dell’antico Duomo ormai pericolante. La prima pietra del nuovo tempio era stata posta il 9 giugno del 1099, data che viene tramandata dall’epigrafe celebrativa retta da due delle figure scolpite sulla facciata, raffiguranti il patriarca antidiluviano Enoch e il profeta Elia. Il distico che conclude l’iscrizione contiene l’elogio dello scultore dei celeberrimi bassorilievi che ornano il fronte esterno della chiesa, ossia Wiligelmo. In un’altra epigrafe, posta all’esterno dell’abside maggiore, è invece menzionato l’architetto Lanfranco, “famoso per ingegno, preparato e competente direttore dei lavori, reggitore e maestro” del cantiere della Cattedrale. Le due iscrizioni celebrative, in cui vengono nominati gli artefici principali della “Domus clari [...] Geminiani”, testimoniano l’alto orgoglio municipale dei modenesi e la loro comprensibile soddisfazione per l’esito dei lavori fin lì eseguiti, che di fatto fruttarono uno dei massimi capolavori del romanico europeo. Nonostante questa prima prolifica fase, l’edificio fu definitivamente completato solo alcuni decenni più tardi e un’altra lunga iscrizione, scolpita sui blocchi di pietra del fianco meridionale, commemora la cerimonia di consacrazione della cattedrale officiata il 12 luglio del 1184 da papa Lucio III. Gli ultimi stadi di lavorazione furono condotti a termine da nuove maestranze di estrazione campionese che, a partire dalla seconda metà XII sec., subentrarono ai lapicidi comacini inizialmente guidati da Lanfranco. L’attività dei maestri campionesi proseguì comunque ben oltre la data ufficiale di consacrazione della chiesa, tanto che ancora nel 1319 le cronache registrano il compimento della cuspide ottagonale della torre campanaria (la “Ghirlandina”) da parte di Enrico da Campione. Oltre a gran parte della decorazione interna, i campionesi furono responsabili di alcuni sostanziali interventi in chiave gotica che alterarono l’originario aspetto romanico dell’esterno dell’edificio: è il caso del grande rosone e dei due portali laterali della facciata, o dell’imponente Porta regia realizzata intorno al 1178 sul fianco destro, in aggiunta alla preesistente Porta dei principi, risalente al primitivo cantiere lanfranchiano.
Esterno
Il visitatore attento si accorgerà della mirabile organicità fra l’esterno e l’interno della cattedrale modenese: due possenti contrafforti frazionano infatti la facciata in tre parti, corrispondenti al numero delle navate interne. Anche gli spioventi che fiancheggiano la cuspide centrale, suggeriscono la minore altezza delle due navate laterali rispetto a quella principale. Ad ogni navata corrisponde un portale, tra cui spicca quello mediano, dotato di un monumentale protiro, a sua volta sormontato da un’edicola. Le colonne del protiro poggiano su leoni stilofori risalenti al I sec. d. C., che rappresentano, pertanto, un classico esempio di reimpiego di materiale antico in un cantiere medievale. D’altronde, le stesse cronache segnalano durante i lavori il “miracoloso” ritrovamento di «miras lapidum marmorumque congeries», ossia di numerosi marmi romani che supplirono in buona parte alla costante penuria di materiale costruttivo. Lungo gli stipiti e l’archivolto del portale si dipana un’ininterrotta decorazione scultorea: su un fitto sfondo a carattere vegetale campeggiano figure umane, animali, mitologiche tipiche dell’affascinante quanto complesso immaginario fantastico e simbolico della civiltà medievale. Nella parte interna degli stipiti sono invece raffigurati i profeti dell’Antico Testamento. I rilievi del portale sono opera di Wiligelmo, così come le scene tratte dal libro della Genesi contenute nelle quattro lastre inserite sulla facciata, a ragione considerate una delle testimonianze più significative della scultura romanica europea. Nella prima, posta sopra il portale minore di sinistra, si succedono entro un teoria di archetti pensili le scene della Creazione del mondo, della Creazione di Adamo e del Peccato originale. La seconda lastra, alla sinistra del portale maggiore, raffigura La cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre e La condanna al lavoro della terra; appena sopra è visibile la lapide che riporta la data di fondazione della cattedrale e il celeberrimo elogio di Wiligelmo, retta dai profeti Elia ed Enoch; Nella terza lastra, posta alla destra del portale mediano, la scena del Sacrificio di Caino e Abele è seguita dall’Uccisione di Abele; nell’ultima, situata sopra il portale minore di destra, sono raffigurati Lamech che uccide Caino e Il diluvio universale, in cui compare un’affascinante raffigurazione dell’Arca di Noè in forma di basilica. Ai lati della base dell’edicola che sormonta il protiro, sono da notare altre due mirabili lastre eseguite da Wiligelmo, contenenti Geni funerari che spengono la fiaccola della vita. Si tratta di una elegante ripresa di un tema classico tratto dai sarcofagi di età romana. Sopra i portali, la facciata è percorsa da una fascia di archetti pensili poggianti su peducci a protomi, sovrastata da una grande loggia costituita da sei trifore inscritte entro alte arcate cieche. Tale motivo si ripete lungo i fianchi e le absidi, garantendo così l’unità ritmica dell’edificio. Sempre a Wiligelmo e alla sua officina vanno addebitati i mirabili capitelli figurati delle semicolonne che incorniciano le trifore. Opera dei maestri campionesi è invece il grande grande rosone, leggermente strombato, che corona in alto la facciata, eseguito entro la prima metà del XIII secolo. Le maestranze campionesi realizzarono anche la Porta Regia, monumentale ingresso situato sul lato meridionale che si affaccia sulla Piazza Grande. Eseguita entro il 1231, la Porta Regia si distacca consapevolmente dagli altri portali di impronta lanfranchiana, più semplici e austeri, conformandosi invece alla più fastosa tradizione lombarda. La porta, la cui preziosa bicromia è dovuta all’utilizzo del costoso marmo rosa di Verona, presenta un ampio protiro sormontato da una loggia in cui è conservata una statua in rame di San Geminiano, opera di Geminiano Paruolo (1376). Il fregio dell’arco del protiro è decorato da un ricco filare di rose che compare anche nella cornice del rosone della facciata. La volta a botte del protiro è sostenuta all’interno da un elegante fascio di colonnine annodate e all’esterno da due colonne poggianti su leoni stilofori che azzannano una preda. All’interno del protiro si apre il grande portale preceduto da una complessa strombatura. Sul lato meridionale è situata anche la Porta dei Principi, risalente al primitivo cantiere lanfranchiano. La sua struttura ricalca in termini semplificati quella del portale maggiore della facciata, con un protiro sostenuto da leoni stilofori e coronato da un’edicola concava. Gli stipiti sono decorati sul fronte esterno da un ininterrotto tralcio abitato da una congerie di figure reali e fantastiche; sulla faccia interna sono raffigurati, entro piccole nicchie, gli Apostoli. La fitta decorazione vegetale continua anche sull’archivolto soprastante. Nell’architrave sono invece narrati Sei episodi della vita di San Geminiano, relativi al suo viaggio in Oriente compiuto per liberare dal demonio la figlia dell’Imperatore Gioviano. I rilievi del portale sono attribuiti al Maestro di San Geminiano, strettamente legato alla lezione di Wiligelmo, e al più schematico Maestro dell'Agnus Dei. Sulle testate dei contrafforti sono poste quattro delle otto copie (le altre stanno sulla fiancata opposta) delle cosiddette Metope, celebri emblemi della straordinaria decorazione scultorea del Duomo di Modena, i cui originali sono oggi conservati nel Museo Lapidario. Le Metope, raffiguranti figure umane mostruose, furono realizzate nei primi decenni del XII secolo da un geniale scultore anonimo, forse allievo di Wiligelmo, ma certo informato della coeva arte borgognona. Tornando verso le absidi, all’altezza del transetto, si nota un pulpito eseguito nel 1501 da Jacopo da Ferrara. Nell’ultima arcata del fianco meridionale è invece murata una lastra con Quattro episodi della vita di S. Geminiano, firmata dallo scultore toscano Agostino di Duccio nel 1442. Nel retro dell’edificio si sviluppano tre absidi cilindriche, le due laterali simmetriche e quella centrale, più alta e leggermente più aggettante. In quest’ultima, appena sopra la finestrella centrale, si trova la lapide con l’iscrizione in cui è ricordato il nome dell’architetto Lanfranco. Nel complesso, anche la zona absidale ripete la partitura architettonica e decorativa della facciata e dei fianchi laterali. A fianco delle absidi si erge l’imponente torre campanaria, orgoglioso simbolo della città di Modena, meglio nota come Ghirlandina. I cinque piani dell’originale struttura romanica a pianta quadrata furono realizzati entro il 1179. Essi sono divisi da una serie successiva di cornici sovrapposte ad archetti pensili e sono aperte, progressivamente, da finestre monofore, bifore e trifore. Tra il 1261 e il 1319 la torre subì un ulteriore sviluppo, raggiungendo la ragguardevole altezza di 88 metri, grazie all’aggiunta di una base ottagonale culminante in una cuspide piramidale. La guglia, di spiccato gusto gotico, fu progettata da Arrigo da Campione e appare impreziosita da due “ghirlande”, ossia leggiadre balaustre di marmo, da cui deriva appunto l’affettuoso nomignolo. La torre svolgeva anche un’importante funzione difensiva, nonché di forziere pubblico in cui erano conservati gli atti e i trofei della città, come la celebre secchia rapita, oggetto a lungo conteso tra modenesi e bolognesi, che ispirò l’omonimo poema eroicomico di Alessandro Tassoni (1565-1635). Sul fianco settentrionale dell’edificio è da notare la Porta della Pescheria, nella quale si ripete in sostanza lo stesso schema delle altre porte realizzate prima degli interventi dei campionesi: Il portale incorniciato da stipiti decorati, raccordati da architrave a archivolto, è contenuto entro un protiro a due piano sostenuto da leoni stilofori. L’incongruenza dimensionale fra la lunghezza dell’architrave e l’archivolto rivela ad ogni modo le manomissioni successive subite dal portale originale. Un tralcio vegetale abitato da figure disparate, tra cui alcune tratte dalla favolistica antica, decora la faccia esterna degli stipiti del portale. Quella interna presenta invece un interessante Ciclo dei Mesi, ognuno dei quali indicato da un’iscrizione abbreviata e rappresentato attraverso la raffigurazione di un momento peculiare della vita contadina. I rilievi dell’archivolto narrano invece episodi ispirati all’affascinante leggenda bretone di Re Artù, già diffusa in tutta l’Europa medievale a partire dalla prima metà del XII secolo grazie alla Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth.