STORIA
Il primo documento scritto riguardante la Pieve di San Martino in Rafaneto risale al 1059, altresì la sua prima testimonianza certa è datata 1230. Talune informazioni ci raccontano che questo piccolo luogo di culto fosse il primitivo insediamento di Verrucchio, successivamente trasferitosi sulla cima della collina in posizione fortificata. Il nome originale era infatti Plebs Verucolin o Plebs Sancti Martini de Veruclo. Si presume che la costruzione sia ascrivibile al XII secolo, ma dai recenti studi, a fronte degli interventi di restauro, è stata ipotizzata l’esistenza di una precedente architettura, sorta sulle fondamenta di un insediamento romano; a conferma di tali ipotesi pervengono a noi numerosi ritrovamenti di mattoni manubriati e di altri frammenti. Durante gli scavi archeologici del 1893 sono state portate alla luce tre lapidi sepolcrali romane, d'epoca imperiale, e un orologio solare dello stesso periodo, che oggi sono conservate presso la rocca del Sasso. Il cenobio raggiunse il suo apice nei secoli a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, mentre pervenne ad un progressivo decadimento a partire dagli inizi del XVII secolo, quando i suoi titoli furono trasferiti. Nei secoli successivi ha subito diversi riutilizzi agricoli, che hanno profondamente inciso sullo stato di conservazione dell’emergenza artistica, fino ai recenti ed ardui lavori di restauro e recupero che ne hanno rimesso in luce le parti romaniche originarie.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La pieve è un edificio di culto realizzato con pietra locale, presenta delle parti originali di epoca medievale qualificandosi come un’opera organizzata secondo lo schema classico dell’arte romanica. Infatti, la presenza di un’unica navata con un’abside semicircolare, ascrivibile al X secolo, e la massiccia torre campanaria, sono emblemi di una cultura tardo-romanica ancora radicata in questo territorio nel XIII secolo. Questa chiesa si trova ai piedi della rupe di Verrucchio, fuori dall’abitato di San Martino in Rafaneto, e il suo utilizzo agricolo ha determinato l’inserimento della facciata in una casa colonica, oggi disabitata. L’edificio costituisce nel suo insieme architettonico un complesso di vigorosa imponenza. A determinare questa impressione vi concorrono innanzitutto le proporzioni del campanile, ma anche la geometria dell’abside preromanica, emergente dalla testata piana dell’unica navata, e soprattutto la rustica muratura di tutta la struttura, fatta di conci latini sommariamente squadrati e disposti in modo irregolare con pietre di diverso tipo e di diverso colore. Di particolare interesse sono le terminazioni parietali esaltate dalla presenza di grossi blocchi di arenaria squadrati alla perfezione. Per quanto riguarda l’assetto strutturale romanico, abbiamo già individuato due elementi per i quali quest’opera desta la nostra attenzione: la navata e il campanile. In tal senso risulta apprezzabile, nonostante l’asimmetria, anche la partitura delle feritoie. Negli interventi di restauro effettuati è emersa la presenza di prodotti scultorei ascrivibili all’ars romanica, come un rilievo decorato con rappresentazioni zoomorfe. Si tratta in questo caso di un rilievo logoro che non permette la perfetta lettura storico-artistica e che sembra rivelare la raffigurazione di un ariete, sovrastato dalla probabile rappresentazione di una collina stilizzata tesa a metaforizzare l’impedimento della vista del mare dalla chiesa. Proseguendo nel lato sud della navata troviamo quattro feritoie murate, l’ultima, quella verso l’abside, presenta un architrave decorato con motivi fitomorfi in rilievo. L’abside preromanica è aperta da tre finestrelle a doppio strombo ed è coronata da archetti pensili, mentre due lesene sono debolmente disegnate da corsi verticali quasi privi di aggetto. L’interno, cui si accede attraverso la casa colonica, rivela ciò che all’esterno non appare chiaramente: la chiesa è infatti interamente scoperchiata. Nonostante questo la muratura appare piuttosto salda, le teste dei muri sono sigillate da cemento e protette da coppi, e l’abside, inquadrata da un arco perfettamente ogivale, è stata restaurata con cura.
LETTURE CONSIGLIATE
S. Stocchi “Italia-Romanica/l’Emilia-Romagna”, Jaca Book, Milano, 1984.
C. Curradi, Pievi del territorio riminese nei documenti fino al mille, Rimini 1984.
L. Bernardi, Verucchio: guida storico-artistica illustrata, Verucchio 2004.