STORIA
Costruita sulla vallata del Samoggia, l’abbazia di Monteveglio, intitolata alla Madonna, venne eretta per celebrare la vittoria di Matilde di Canossa su Enrico IV. L’imperatore infatti venne sconfitto nell’assedio della rocca matildinica Monteveglio avvenuto nel 1092. La storia è quasi leggenda, infatti Enrico IV venne vinto da un pugno di uomini che non solo riuscirono a resistere per mesi, ma persino il figlio dell’imperatore perse la vita nello scontro finale. Fu l’inizio del suo declino: nel viaggio di ritorno in Germania tentò di assalire il castello di Matilde, ma venne sconfitto nuovamente. Tornato in patria fu detronizzato. Come atto di ringraziamento, la grande contessa fece edificare l’abbazia di Monteveglio che si aggiunse alla chiesa già esistente. Il monastero fu affidato all’ordine agostiniano di San Frediano di Lucca, ma nel 1455 passò ai Canonici Laternanensi di San Giovanni in Monte di Bologna. La chiesa viene anche ricordata per aver ospitato Ugo Foscolo, il quale, viaggiando sotto mentite spoglie, venne imprigionato perché sospettato di essere una spia austriaca.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
L’assetto attuale dell’abbazia è dovuto dal restauro diretto dall’architetto Rivani avvenuto tra il 1925 e il 1934. L’intento è stato quello di riportare il complesso allo stato originale, eliminando gli ammodernamenti avvenuti nel corso dei secoli, ritenuti posticci e non autentici. Fondata nel V secolo, la chiesa mantiene ancor oggi l’assetto romanico, assunto in epoca matildinica. Il tempio presenta una facciata originale del XII secolo orientata a ovest. La pianta è a tre navate, con il presbiterio sopraelevato per ospitare nella zona sottostante l’antica cripta. Questa è divisa da quattro campate di pilastri e colonne, termina con tre altari corrispondenti a tre absidi e in quello centrale è presente un’autentica pietra tombale di epoca romana con decorazione a cornici concentriche. Nella navata destra si trovano opere di epoca longobarda: l’acquasantiera, e uno dei capitelli presenti che riproduce le tipiche forme tratte dall’oreficeria di produzione langobardorum. Da notare le monofore delle absidiole ancora in alabastro e mai sostituite. Dalla navata centrale una scala di epoca barocca conduce al presbiterio, posto sopra la cripta e illuminato da monofore chiuse da lastre di alabastro. Al centro del presbiterio a tre absidi c’è l’altare di marmo rosso di Verona, poggiato su cinque colonne mentre ai lati si può ammirare lo splendido coro rinascimentale in noce. Notevoli sono pure le splendide absidi visibili dal retro, abbellite da archetti pensili e da monofore. Curioso è inoltre il campanile che non poggia su alcuna fondamenta, ma è stato semplicemente edificato su una delle absidi. All’interno del complesso sono visibili due chiostri, il maggiore, realizzato nel Quattrocento, presenta un loggiato superiore che dava l’accesso alle celle dei canonici. Nel porticato inferiore sono visibili antiche lapidi dipinte volte a ricordare la storia del monastero. Invece, il chiostro più antico, collocato sul retro, è andato in gran parte distrutto: è infatti sopravissuto solo un lato ancora decorato da capitelli antropomorfi risalenti al XII secolo.
LETTURE CONSIGLIATE
Nono centenario dell’abbazia di Monteveglio 1092 – 1992, in L’abbazia e la sua storia, atti del convegno di studi, 30 settembre – 11 ottobre 1992, Perugia 1995
G. Rivani, Il castello e l’abbazia di Monteveglio: memorando nei secoli, Bologna 1953
STORIA
Il complesso di Santo Stefano è composto da un insieme di edifici (cappelle, chiese e monastero annesso), conosciuti come le Sette Chiese. Secondo una leggenda Santo Stefano fu fondato da san Petronio, vescovo di Bologna tra il 431/432 e il 450, che vi si trova sepolto. Infatti, in seguito ad un pellegrinaggio in terra santa, il patrono bolognese avviò la realizzazione di un insieme di edifici destinati a riprodurre i luoghi della passione di Cristo. In realtà si dovrà aspettare la fine del IX, in un diploma di Carlo III detto il Grosso, per trovare le prime attestazioni di un Sanctum Stephanum qui vocatur Sancta Hierusalem. Attraverso le indagini documentarie e archeologiche si è scoperto che gli impianti delle chiese o cappelle di Santo Stefano risalgono a epoche diverse; come la chiesa del Santo Sepolcro dalla forma circolare è di fondazione romana, risalente al II secolo d.C.. L’edificio, identificato come un tempio, probabilmente dedicato a Iside, (ipotesi avvalorata dalla presenza di una lapide romana murata nel muro esterno della chiesa di San Giovanni Battista), è stato successivamente trasformato in una chiesa dedicata al Santo Sepolcro con all’interno un’edicola contenente le spoglie di san Petronio. Diversamente, dove sorge oggi la chiesa della Trinità, esisteva alla fine del IV secolo un’area cimiteriale cristiana, caratterizzata da un recinto e da un piccolo santuario a forma di croce. La chiesa di San Giovanni Battista (oggi detta del Crocifisso) è invece di probabile fondazione longobarda, come testimonierebbe il cosiddetto “catino di Pilato”, bacile in pietra (oggi collocato nel “cortile di Pilato”) il quale reca un’iscrizione riferibile ai re Liutprando e Ildebrando che regnarono assieme dal 736 al 744. L’opera fu trasportata nella sede attuale per ordine del cardinale Giovanni dei Medici nel 1506, mentre in origine era collocata all’interno della chiesa di San Giovanni. L’inizio dell’XI secolo fu un momento di grande splendore per il complesso, infatti l’abate Martino (ordine dei benedettini) fece costruire una cripta nella chiesa di San Giovanni Battista e il 3 marzo del 1019 vi trasferì i corpi dei santi Vitale e Agricola. Probabilmente a queste date il monastero era già articolato nelle varie strutture ancor oggi esistenti: la rotonda, la chiesa di San Giovanni, la chiesa oggi intitolata ai Santi Vitale e Agricola (dove si trovano conservati i sarcofagi dei due protomartiri) e la chiesa della Trinità. Nel 1388 iniziò un periodo difficile per la comunità ‘stefaniana’ a causa della decisione delle istituzioni comunali di realizzare una grande chiesa in onore del patrono san Petronio. I monaci corsero ai ripari riuscendo a far credere che il corpo di san Pietro fosse sepolto nella chiesa dei Santi Vitale e Agricola, dove già nel 1141 si era trovata la tomba di un Symon. Papa Eugenio IV (1431 – 1447) non tardò a reagire facendo chiudere la chiesa murandone le porte. Con papa Nicolò V (1447 – 1455) la comunità monastica venne sciolta e sostituita da preti secolari. Questa situazione non durò però a lungo infatti papa Alessandro VI (1492 – 1503), dietro pressioni del vescovo di Bologna Giuliano dalla Rovere (futuro papa Giulio II), acconsentì l’introduzione di una nuova comunità monastica formata di monaci certosini e il permesso di riaprire la chiesa chiusa al culto. Grazie alla presenza di numerose reliquie conservate all’interno del complesso i monaci furono in grado di far diventare Santo Stefano una importante meta di pellegrinaggio; ne conseguì lo sviluppo di numerose cappelle e altari all’interno del complesso, oggi non più visibili a causa di numerosi interventi di restauro avvenuti tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Nel 1876 ad esempio furono abbattute diverse cappelle nella chiesa del Santo Sepolcro, distrutti numerosi altari e smantellate le mura a sud-ovest sulle quali erano dipinte le storie di San Petronio, con lo scopo di ripristinare l’antico assetto medievale. Dal 1941 il complesso è retto dai monaci benedettini olivetani.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
L’unica via di entrata al complesso stefaniano è la chiesa di San Giovanni Battista oggi denominata del Crocifisso. Il tempio è a navata unica, con tetto a capriata; presenta il presbiterio sopraelevato (il cui accesso è consentito da una scala centrale rifatta nel secolo scorso) con al di sotto la cripta che dall’XI secolo conserva i corpi dei santi Vitale e Agricola. Quest’ultima presenta un’architettura a cinque piccole navate formate da colonne di recupero (tra queste va segnalata quella in marmo composta da due tronchi e collocata appena entrati sul lato sinistro della cripta, perché, secondo la tradizione,indicherebbe l’altezza di Cristo). I tre capitelli corinzieschi (stile che ha avuto grande diffusione locale per l’immediatezza espressiva) presenti nella cripta, decorati da figure di uomini, di quadrupedi e di uccelli risalgono probabilmente all’XI secolo. Si fanno risalire allo stesso periodo i capitelli a stampella che abbelliscono la galleria del Santo Sepolcro, le somiglianze stilistiche e tecniche. Le stampelle sono poi a loro volta decorate di figure: uomini, quadrupedi, uccelli, senza un programma iconografico riconoscibile, e senza ordine. I rilievi sono modellati con grande semplicità; risultando talvolta sommari e schematici. All’interno della chiesa di particolare interesse è l’edicola del Santo Sepolcro che rappresenta il luogo della sepoltura di Cristo e l’angelo marmoreo del XIII secolo (affiancato dalle pie donne e dai soldati dormienti), collocato sopra l’apertura, simboleggia la Resurrezione. La scritta sottostante indica che qui sono conservate le spoglie di san Petronio. Di fianco i simboli degli Evangelisti dagli evidenti caratteri lombardi. Riferibile all’XI secolo è anche il sarcofago di sant’Agricola, malgrado il ritmo disteso delle grandi figure di cervo e del leone affrontati, conservato appunto nella chiesa dei Santi Vitale e Agricola. Il tempio dedicato ai protomartiri, edificato nel IV secolo, fu ricostruito secondo lo stile romanico-lombardo nel XI secolo (le coperture a vola degli spazi alti della basilica). Si può far risalire allo stesso periodo la targa, che decora esternamente la chiesa, con il Redentore tra i Santi Vitale e Agricola. Si tratta ovviamente di un artefice di modesta statura al confronto con l’autore del sepolcro del protomartire bolognese e di quello che decorò la facciata della chiesa per la realizzazione dei modiglioni coi simboli degli Evangelisti (dei quali solo due sono giunti fino a noi). Di epoca più tarda è la decorazione dell’archivolto che decora il portale d’accesso alla chiesa della Trinità con intrecci e decorazioni di gusto post-wiligelmico, con un fare leggermente trattenuto, ma non privo di eleganze anche sontuose nella definizioni dei racemi perforati dal trapano. All’interno della chiesa è anche conservata una lignea Adorazione di Magi presepe del XIV secolo dipinto dal celebre pittore bolognese Simone di Filippo detto dei Crocifissi. Accanto alla chiesa della Trinita sorge il chiostro del monastero, costituito da un doppio ordine di logge datato all’XII-XIII secolo. Le cinquantadue colonnine binate che costituiscono il secondo ordine impreziosicono l’edificio. La tradizione vuole che Dante passando per Bologna fu talmente colpito dai capitelli antropomorfi che queste figure sembrano le stesse dei contrappassi della Divina Commedia. Ad esempio le membra contorte e rovesciate di alcune figure come quella dell’uomo oppresso dal peso dell’arco (a ridosso della chiesa del Crocifisso) avrebbe ispirato il poeta la famosa similitudine dei superbi che camminavano ricurvi a causa dei pesanti massi posti sulla loro schiena. Il percorso del complesso si conclude con la visita al Museo di Santo Stefano dove sono conservate sculture, pitture che vanno dal XIII al XVIII secolo, importanti reliquiari come quello realizzato dal celebre orafo Iacopo del Roseto per conservare il capo di san Petronio e la Sancta Sanctorum, cioè l’insieme delle reliquie custodite dai frati per secoli.
LETTURE CONSIGLIATE
Nel segno del Santo Sepolcro. Santo Stefano di Bologna. Restauri, ripristini-manutenzioni, a cura di L. Serchia, Vigevano 1987
Sette colonne e sette chiese. La vicenda ultramillenaria del complesso di Santo Stefano, a cura di F. Bocchi, Bologna 1987
B. Borghi, In viaggio verso la Terra Santa. La basilica di Santo Stefano in Bologna, Bologna 2010
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