STORIA
La cripta di San Zama faceva parte del monastero intitolato ai Santi Naborre e Felice, oggi sede del Comando Militare dell’Esercito italiano in Emilia Romagna, già ospedale militare. La storia della cripta è legata al sorgere della prima comunità cristiana bolognese. Si è a lungo creduto che San Zama fosse la prima cattedrale, perchè proprio in questo luogo sacro furono sepolti i resti dei primi vescovi bolognesi, a partire dallo stesso Zama. Più verosimilmente invece, come è accaduto proprio per il complesso di Santo Stefano, in quest’area sorgeva uno dei primi cimiteri cristiani dove venivano inumati anche i vescovi bolognesi, a causa del divieto (in essere fino al V secolo) di seppellire i morti entro le mura della città. Secondo la leggenda la dedica del luogo venne attribuita da san Pietro in persona, mentre la sua fondazione si deve proprio a Zama. Il vescovo Faustiniano, successore di san Zama, non solo contribuì ad aumentare la fama del santuario, costruendo una basilica più ampia, ma mutò anche intitolazione della chiesa ai Santi Naborre e Felice, martiri della Chiesa milanese, da cui Bologna dipendeva. Tutti i vescovi della diocesi bolognese furono inumati qui fino all’VIII-IX secolo, fatta eccezione di San Petronio sepolto invece nel complesso di Santo Stefano. Dopo un lungo periodo di silenzio delle cronache, si hanno le prime notizie dal X secolo, quando viene denunciato un grave stato di degrado dell’abbazia, collocata nella zona definita civitas antiqua rupta. Solo dopo il Mille, con l’arrivo dei monaci benedettini, venne data nuova vita al complesso. I religiosi ricostruirono la chiesa in stile romanico, dotandola di una cripta, realizzarono il monastero e nel corso del Trecento la torre campanaria e la sagrestia. In questo periodo il convento, denominato l’Abbadia, diventò uno dei più importanti centri di studi della città. Ma le lotte del XV secolo fra i signori bolognesi e il papato coinvolsero il monastero, portando all’abbandono dei benedettini e alla conseguente rovina dello stesso. Dopo un secolo di decadenza, il papa assegnò il complesso alle suore clarisse.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La cripta è l’unico elemento romanico sopravvissuto all’interno dell’intero complesso. Per la sua realizzazione furono utilizzati elementi di reimpiego provenienti da edifici preesistenti. In questo luogo, al quale probabilmente si accedeva da due scale poste ai lati del presbiterio rialzato, erano custodite le spoglie dei vescovi bolognesi, trasportate in San Pietro nel 1586, per volere dell’arcivescovo Gabriele Paleotti. La tomba vuota restò nella cripta fino alla soppressione napoleonica del 1799, quando fu portata al cimitero della Certosa e da qui al complesso di Santo Stefano, dove si trova ancora oggi. Ne rimane impressa la memoria nell’iscrizione quattrocentesca conservata nel sacello. L’assetto odierno della cripta, molto più vicino alla struttura di una cappella, è dovuto alla trasformazione operata dalle clarisse che decisero di isolarla dall’edificio sovrastante creando piccole nicchie dove c’erano le scale di accesso e aprendo, al termine della navata centrale, un vano per ospitare un altare con cinque piccole edicole devozionali. Alle colonne che dividono la cripta in tre navate furono inseriti dei piloni per sostenere il presbiterio. Al suo interno sono collocati alcuni frammenti architettonici: parte di decorazione di un’antica lapide marmorea, una croce in pietra e una parziale iscrizione sepolcrale secentesca. Le tre navate terminano con absidi semicircolari. Nella nave centrale il ritmo delle colonne è alternato alla presenza di pilastri quadrilobati in muratura. La copertura crociera presenta alcune tracce di decorazioni pittoriche di epoca tardo rinascimentale. Nelle quattro colonne che precedono l’altare, si notano i capitelli in marmo bianco molto simili tra loro, decorati con volute a doppio ordine di fogliame, rosette e croci. Gli studiosi le hanno attribuite a epoche molto diverse che vanno dal VI al XII, ma la presenza della croce nel blocco marmoreo dei capitelli ne confermerebbe l’originale impiego cristiano. I capitelli poggiano su colonne costituite da materiali diversi di reimpiego. Particolari i fusti delle colonne dell’intera zona centrale, costruiti riutilizzando probabilmente il ciborio della basilica precedente alla costruzione del “periodo benedettino”. Infatti questi fusti sono stati ricavati tagliando alla stessa altezza quattro colonne, per realizzarne un totale di otto. La prima colonna a sinistra dell’altare maggiore presenta una base marmorea classica di tipo attico di epoca romana. Nella fila delle colonne a sinistra è visibile un altro capitello in marmo con decorazione a foglie angolari intagliate, simili a palmette e gambi tortili, datati al VI secolo perché molto vicini a quelli presenti nella chiesa dello Spirito Santo a Ravenna. L’altare dell’abside centrale è costituito da un’antica mensa sostenuta da cinque colonne di pietra del XI e XII secolo; secondo gli studiosi erano in origine collocate nel chiostro romanico scomparso.
LETTURE CONSIGLIATE
S. D’Atri, La cripta di San Zama, Bologna 1997
Storia della Chiesa di Bologna, Bologna 1997
A.Benati, I primordi della Chiesa bolognese e il complesso dei Santi Naborre e Felice in Santa Maria della Carità in Bologna. Una parrocchia nella città, Bologna 1991
O. Piracini, L’Abbadia dei Santi Naborre e Felice nella storia e nell’arte, Bologna 1975
G. Rivani, L’abbadia dei Santi Naborre e Felice, ora Ospedale militare in Bologna, in Strenna Storica Bolognese, XVIII, 1968