STORIA
La pieve romanica di San Silvestro sorge nel centro di Fanano. La tradizione vuole che fu sant’Anselmo a fondarla nel 749 per concessione del cognato Astolfo, re dei Longobardi, con lo scopo di erigere un monastero e un ospizio per viandanti che peregrinavano lungo la via Romea e necessitavano di un “riparo” nel valico appenninico tra la Toscana e l’Emilia. Appena fondata la pieve, Anselmo, decise di lasciarla per giungere a Nonantola per costruire la celebre abbazia benedettina. In realtà le prime tracce documentarie risalgono solamente al XIII.
La struttura ha subito nel corso dei secoli diversi interventi: il più importante e significativo è quello del XVII secolo che ha compromesso l’originale assetto romanico con cripta e presbiterio rialzato e ne ha mutato l’orientamento liturgico; favorendo la realizzazione della facciata verso oriente, dal lato dove si stava ingrandendo il paese.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La chiesa presenta una pianta a tre navate, che terminano con un presbiterio di gusto barocco. All’inizio del Novecento venne intrapreso un restauro finalizzato a ripristinare le originarie linee romaniche alla pieve. In quell’occasione furono riportate alla luce le basi delle colonne della cripta, oggi visibili presso l’ingresso principale. Durante questo restauro fu ridisegnata la facciata in stile neoromanico, ma in maniera del tutto arbitraria. Della chiesa romanica rimangono le dodici colonne che corrono lungo la navata centrale. Le sculture dei capitelli rappresentano figure zoomorfe e antropomorfe, delineate da un linguaggio spoglio ed essenziale. Si discosta per lo stile e il gusto il terzo capitello di destra, caratterizzato da una originale e fantasiosa ornamentazione: quattro teste di animali finemente scolpite che sporgono dagli spigoli; mentre grosse serpi corrono sull’abaco. Su questo capitello compare scolpita una data: 1206, probabile epoca di consacrazione della pieve. Alcuni studiosi hanno attribuito la realizzazione di queste sculture a maestri campionesi, altri hanno invece visto l’influenza di maestri antelamici provenienti da Genova.
LETTURE CONSIGLIATE
Passaggi e paesaggi. Itinerari nell’Appennino modenese, Modena 2004
Breve guida storico artistica alla Plebanale di S. Silvestro Papa in Fanano, Fanano, 1997
(Don) F Gavioli., Sorelle povere di Santa Chiara in Fanano, Carpi 1995
F. Gandolfo, La pieve di San Silvestro a Fanano, in, Tempo sospeso, Modena, 1987
STORIA
La pieve romanica di Santa Maria Assunta a Rubbiano ha origini molto antiche, infatti fu fondata probabilmente nella metà del VII secolo e comunque viene citata in atti dell’880 e 908. La sua fortuna è probabilmente legata alla sua ubicazione, infatti si trova lungo il tracciato della via Bibulica, la più antica e importante strada di collegamento tra Emilia e Toscana che valica l’Appennino al Passo delle Radici. La pieve acquistò probabilmente grande prestigio e prosperità a partire dal 727 quando i traffici lungo la via Bibulica ebbero impulso a seguito dell’unificazione del territorio ad opera dei Longobardi che già occupavano la Garfagnana.
Quando nel 1071 venne fondata l’abbazia di Frassinoro, la pieve di Rubbiano diminuì il proprio prestigio.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La chiesa plebana di Santa Maria Assunta sorge su una piccola piazzetta presentando ancora oggi il suo stile romanico. All’esterno le tre absidi sono coronate da archetti pensili retti da mensole figurate e sono divise da una monofora. Gli archetti prevalentemente sono sormontati da una cornice dentellata, mentre alcune semicolonne slanciano la costruzione sorreggendo capitelli con motivi vegetali e zoomorfi. Accanto alla chiesa si innalza il campanile del XII secolo dalla linea sobria e massiccia
L’interno della pieve, disposto a croce latina, è a tre navate separate da colonne che sorreggono capitelli, volute, cornici decorate da palmette, foglie d’acanto, figure zoomorfe come leoni e altri animali, e figure antropomorfe. Si possono inoltre notare due colonne più isolate, probabilmente risalenti all’antica planimetria della chiesa. Le due colonne, composte da rocchi sovrapposti, reggono capitelli decorati con foglie d’acanto.
All’interno della pieve si può notare un’acquasantiera del XII – XIII secolo, abbellito da quattro figure femminili: due col corpo di sirena e zampe di arpia. L’acquasantiera si poggia a sua volta su di un capitello ionico di riuso.
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LETTURE CONSIGLIATE
Passaggi e paesaggi. Itinerari nell’Appennino modenese, Modena 2004
L’Appennino Modenese di Ponente, Modena 1996
STORIA
Nella località isolata in vetta ad un monte boscoso che domina l'abitato di Galeata sorge l'Abbazia di Sant'Ellero, che fu fondata, con l'impiego di materiali provenienti dalla decaduta Mevaniola, nel V secolo da Ellero. Questo santo eremita, dopo nove anni di esistenza eremitica, diede vita ad un'attiva comunità monastica proprio presso Galeata. L'abbazia divenne presto un centro spirituale di primaria importanza e crebbe di influenza e di potere, tanto da ottenere il controllo su circa quaranta parrocchie, estese in un territorio compreso tra Romagna e Toscana. Ma dopo essere entrata in costante conflitto con la chiesa ravennate che ne pretendeva il controllo, un terribile terremoto del 1279 determinò la distruzione fin dalle fondamenta del suo monastero. Infatti oggi, proprio a causa delle periodiche scosse sismiche che hanno colpito l'Alta Valle del Bidente nel corso dei secoli, dell'antico complesso monastico rimane solo la chiesa abbaziale. L'abbazia, in seguito a queste vicissitudini, fu più volte sottoposta a diversi interventi di ristrutturazione ascrivibili per lo più al Seicento. Ma nonostante appaia come il risultato di un sovrapporsi di varie fasi costruttive e di numerosi restauri, la struttura odierna sembra aver conservato gran parte delle sue forme originariamente romaniche.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La chiesa è caratterizzata da una facciata tipicamente romanica (XI-XII secolo), in grossi blocchi di arenaria. É inoltre dominata da un nobile portale romanico che, restaurato di recente e strombato verso l'interno, rappresenta l'elemento più affascinante dell'intera struttura esterna. Il portale è inoltre costituito da un fascio multiplo di colonnine, che sono provviste di capitelli scolpiti e, nella parte superiore, da un grande rosone. Su questi capitelli, ai monaci sul lato sinistro che simboleggiano la preghiera si contrappongono le sirene sul lato destro che personificano la seduzione. I fianchi dell’edificio sono scanditi da una serie di lesene sempre in blocchi di arenaria che nobilita il resto della muratura. L'interno è caratterizzato da un'unica navata, il cui spazio longitudinale è ampliato da cappelle laterali, dove sono collocati alcuni elementi decorativi e scultorei dell'antica struttura. L'abside, profonda e rettilinea, è preceduta da un presbiterio sopraelevato cui si accede per due scale laterali. Infatti, sebbene l'interno abbia subito notevoli trasformazioni tra il XVII e il XVIII secolo, conserva la tipica struttura medievale con il presbiterio sopraelevato e la sottostante cripta, dove è posto il sarcofago di Sant'Ellero, un'opera bizantina di raffinata scultura. Si suppone che la cripta sia il primitivo sacello del santo, il luogo da cui poi si sviluppò la costruzione dell'intera abbazia. Gli altri elementi scultorei e resti architettonici si trovano all'interno o sono murati in facciata. Infine quasi del tutto originale è l'intero presbiterio: l'arco absidale, a sesto leggermente ribassato, si regge su capitelli a mensola decorati da motivi piuttosto arcaici a palmette, pervenuti danneggiati dall'opera di rifacimento barocca, volta a ricoprire le colonne e la muratura con stucchi policromi.
LETTURE CONSIGLIATE
E. Leoncini, L'abbazia di Sant'Ellero nel XIV centenario della morte del suo fondatore, 15 maggio 1958, Città di Castello 1958.
E. Leoncini, con prefazione di Piero Bargellini, L'abbazia di Sant'Ellero, Castrocaro Terme 1981.
S. Stocchi, Provincia di Forlì. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
STORIA
La più antica attestazione del complesso faentino risale al 1137, quando in un documento dell’Archivio della Cattedrale venne menzionato Alberto priore della chiesa dell’Ospedale del Santo Sepolcro, nel sobborgo della città di Faenza fuori Porta Ponte, l’attuale Borgo Dubecco. La Commenda sorse occupando una precedente istituzione ospedaliera, e anche l’intitolazione al Santo Sepolcro sottolineava il suo legame con l’universo crociato. Nel 1237 un documento citava l’ospedale come “hospitalis Sepulchri Sanctae Mariae Magdalenae” confermando la successiva dedicazione alla santa. Un documento conservato all’interno della Raccolta Azzurrini della Sezione dell’Archivio di Stato di Faenza, stilato nel 1301, che, ricorda un precettore dell’ospedale appartenente all’Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme, confermandone la pertinenza all’ordine cavalleresco. La Commenda di Faenza è ancora oggi legata a Fra Sabba da Castiglione, una figura di erudito e mecenate rinascimentale talmente imponente che ancora oggi la fama del complesso giovannita è strettamente legata a quella del frate cavaliere. Nel secondo quarto del XVI secolo egli infatti commissionò la ristrutturazione della magione e la fece decorare prima con gli affreschi dell’abside realizzati da Girolamo da Treviso (1533) e poi con la sua memoria funebre dipinta da Francesco Menzocchi (1545).
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
In relazione alla chiesa di Santa Maria Maddalena, la critica è concorde nel ritenere l’edificio attuale databile al XIII secolo, infatti la sua struttura conserva nella sostanza la volumetria originaria. La copertura doveva essere caratterizzata da una volta a botte che probabilmente fu demolita alla fine del Trecento. Al di sopra della navata attuale permangono i resti della volta e delle finestre della chiesa. Queste finestre a tutto sesto nel lato interno erano caratterizzate da un arco ribassato, un’apertura doveva trovarsi anche sulla facciata ma la grande finestra attuale è frutto di un intervento moderno. La facciata della Commenda oggi è caratterizzata da un portale inserito in un protiro abbozzato, anch’esso, come vedremo meglio, frutto di una manomissione seicentesca. Probabilmente nell’edificio romanico originario il protiro, sostenuto da colonnine, doveva precedere l’entrata; la facciata è invece delimitata da due lesene e da un cornicione in cotto e doveva essere decorata con diversi elementi lapidei di cui restano delle tracce. Il bel portico coperto con volta a botte, a sinistra dell’edificio, venne costruito contestualmente alla chiesa come sembrerebbero testimoniare il medesimo cornicione e la lesena. Tale portico si sviluppa su quattro arcate ogivali, di cui tre sono realizzate in pietra calcarea mentre una quarta in mattoni e conci lapidei; è probabile che in epoca medievale avesse la specifica funzione di ricovero per i viandanti, i pellegrini ed i pauperes in genere. Nella parte superiore le arcate del portico sono divise da lesene che, similmente alla facciata, mostrano ancora la presenza di alloggiamento per piatti in ceramica che dovevano decorarle. Come in San Giovanni a Imola, il grande vano al di sopra del portico forse in origine fungeva da ospedale. Alla sua estremità sorge invece il campanile romanico a pianta quadrata con aperture voltate ad arco a tutto sesto, ma gli interventi moderni ed i danni bellici hanno comunque modificato la parte superiore in sostanza ricostruita. A tutt’oggi l’abside della chiesa conserva il suo aspetto duecentesco, nonostante il tamponamento murario eseguito prima degli interventi di Girolamo da Treviso. In tal senso si noti la bifora con colonna e le due monofore con ghiera in cotto e pietra bianca.
LETTURE CONSIGLIATE
S. Stocchi, Sant’Antonino a Piacenza, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
L. Savelli, Faenza, il Borgo Durbecco, Faenza 1993.
La storia della Commenda di Faenza, a cura di S. Cortesi, S. Saviotti, V. Gamberini, cd-rom, Faenza 2011.
STORIA
Al centro del tessuto urbano di Bobbio, in provincia di Piacenza, sorge il Duomo, una chiesa parrocchiale che fino al 1986 fu sede della diocesi della città, per poi divenire concattedrale della diocesi di Piacenza-Bobbio. La storia della nascita della cattedrale è strettamente legata all'origine della diocesi della città come separata dal territorio abbaziale. Infatti inizialmente la sede vescovile di Bobbio nacque nel 1014 per opera dell'abate e poi vescovo Pietroaldo, che risiedeva nell'abbazia. La sua morte provocò la separazione delle due cariche e lo spostamento nel 1017 del nuovo vescovo Attone nell'antica e piccola basilica di San Pietro. Successivamente nel 1075 il vescovo conte Guarnerio (1073-1095) spostò la sede della diocesi nella nuova cattedrale, dedicata a Santa Maria Assunta. Quindi la costruzione del Duomo di Bobbio risale proprio al periodo romanico, anche se a partire dal secolo XIII fino al XV fu sottoposto ad una serie di rimaneggiamenti che stravolsero il suo aspetto originario.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Partendo dalla sua struttura esterna, la facciata arretrata risale al 1463 e presenta tre porte d'ingresso, con al centro l'ampio portale, al di sopra del quale è visibile il grande rosone centrale. La facciata è inoltre incorniciata da due torri campanarie ultimate nel 1532: a differenza di quella di destra che è più bassa e reca l'orologio, quella di sinistra rappresenta la vera torre campanaria, che in origine terminava da tre lati con una trifora e una monofora sul lato ovest. Quindi dell'impianto primitivo e romanico si conservano solo le basi delle due torri ai lati della facciata e una parte dei muri perimetrali con decorazioni ad archetti. La struttura interna della cattedrale presenta una pianta a croce latina, costituita da tre navate, con cappelle perimetrali, coperte da volte a crociera. La decorazione molto esuberante in chiaro gusto neogotico-bizantino è costituita da affreschi che risalgono alla fine del XIX secolo ad opera di Luigi Morgari, mentre le decorazioni bizantineggianti sono state seguite nel 1896 da Aristide Secchi. Nel lato destro si apre anche la cappella di S. Sebastiano, con una volta decorata da motivi a grottesche del 1507. Oltre il transetto si trova l'antica cappella di S. Giovanni che contiene affreschi recentemente ritrovati e restaurati. Nel riquadro a rosette quadrilobe è visibile un frammento di una “Incoronazione della Vergine”, che risale al 1370. Durante la seconda metà del XV secolo è stata invece eseguita da un artista anonimo lombardo la decorazione della volta, dove spicca la scena dell'Annunciazione, databile tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, oltre ad una scena con S. Sebastiano.
LETTURE CONSIGLIATE
A. Segagni, Introduzione all'architettura della Cattedrale di Bobbio, Bobbio 1982.
M. Tosi, Bobbio. Guida storica artistica e ambientale della città e dintorni, Archivi storici bobiensi, Bobbio 1983.
B. Boccaccia, Bobbio Città d'Europa, Bobbio 2000.
STORIA
Il monastero benedettino di Bobbio, fondato nel 614 dal monaco irlandese Colombano, fu per tutto il Medioevo uno dei più importanti centri monastici d'Europa e ricoprì un ruolo molto significativo dal punto di vista religioso, politico e culturale. Questo primitivo monastero, durante il governo dell'abate Agilulfo (883-896), fu abbandonato e ricostruito in un'altra posizione con una nuova chiesa abbaziale. Successivamente, quando nel 1040 gli abati di Bobbio ottennero la dignità vescovile e si crearono due poteri separati tra vescovi e abati, si cominciò ad assistere alla decadenza del monastero originario e ad una separazione tra le due chiese; infatti all'abbaziale si contrappose la costruzione nel 1075 di una nuova cattedrale da parte del vescovo-conte Guarnerio. Questi due maggiori monumenti hanno subito nei secoli successivi delle notevoli modifiche, che ci impediscono di ricostruire le tracce delle antichità medievali. Infatti come la cattedrale del vescovo Guarniero fu radicalmente trasformata, anche la chiesa abbaziale di San Colombano, ampliata nel corso del Trecento, è stata ricostruita con forme rinascimentali intorno al 1456 e affrescata a partire dal 1526. Quindi dell'antico complesso abbaziale romanico si conservano solo la torre campanaria, l'absidiola e uno splendido mosaico pavimentale nell'attuale cripta.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
L'originaria chiesa abbaziale presentava un interno a croce latina con tre navate e tre absidi, oltre al transetto non molto sporgente. Era divisa a metà da una grata di ferro che separava il coro dei monaci dallo spazio riservato ai fedeli. La composizione pittorica della navata centrale è opera di Bernardino Lanzani da San Colombano al Lambro databile al 1526-30 ed è ricca di figure relative per lo più a santi. L'edificio era provvisto anche di transenne marmoree di epoca longobarda usate per i sepolcri di S. Attala e S. Bertulfo e da un grande mosaico didascalico sul pavimento. Di tutti questi arredi molti si sono conservati, come la cripta trasformata e divisa in due vani separati, dove al centro si trova il sarcofago di San Colombano, sul quale vi sono scolpiti gli episodi più salienti del suo operato. Nella scala di accesso alla cripta, sotto il livello del pavimento, si conserva un esteso brano di mosaico pavimentale dell'edificio antico, che è stato ritrovato nel 1910. Questo mosaico è in gran parte integro ed è ascrivibile alla prima metà del XII secolo. I temi trattati sono simili a quelli presenti nei mosaici di San Savino a Piacenza e di San Michele a Pavia e sono ricavati dal secondo libro dei Maccabei, dalla enciclopedia medievale per quanto riguarda le lotte degli animali fantastici e dalla teoria dei mesi e dei mestieri. É infatti raffigurato un ciclo completo con le allegorie dei mesi accanto ai soggetti simbolici e didascalici. Inoltre il mosaico è diviso in quattro registri, dove nei primi due la lotta tra il bene e il male è raffigurata da un centauro e una chimera che si affrontano, da uomini acefali che combattono contro un drago e da storie bibliche di scontri tra giudei e pagani. Gli altri due registri inferiori invece contengono le allegorie dei mesi all'interno di riquadri separati da colonnine, affiancate da altre due scenette, una delle quali è illeggibile e l'altra raffigura una nave a vela con due marinai. Il complesso abbaziale inoltre ospita il museo dell'abbazia, che contiene una raccolta di materiali archeologici e opere legate alla figura di San Colombano dal IV al XVIII secolo e il museo della città.
LETTURE CONSIGLIATE
M. Tosi, San Colombano in Bobbio, in Monasteri Benedettini in Emilia-Romagna, Milano 1980.
S. Stocchi, San Colombano a Bobbio, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
A. Attolini, Il monastero di San Colombano in Bobbio, Modena 2001.
STORIA
L'attuale chiesa parrocchiale di Castellarano, dedicata a Santa Maria Assunta, si presenta in stile tardo barocco risalente al Seicento. Ma proprio durante quest'epoca fu ricostruita sulla struttura antichissima di una pieve già esistente. Infatti alcuni resti archeologici rivenuti sotto l'attuale chiesa testimoniano che questa primitiva pieve sia ascrivibile al IX secolo e sia stata poi ricostruita al tempo di Matilde di Canossa o sostituita da una seconda chiesa di stile romanico. Infatti dell'edificio primitivo è sopravvissuta parte dei muri antichi sotto il pavimento della chiesa attuale, oltre alle quattro colonne con capitelli scolpiti e due capitelli-mensole. Se questi reperti architettonici, sulla base dell'analisi delle loro caratteristiche, si possono far risalire al dominio dei Franchi nel nostro territorio, la copia del portale con lunetta, collocato all'interno della chiesa a lato dell’altare di San Pancrazio, è invece di epoca posteriore, forse del XII secolo. L'attuale chiesa è stata sottoposta anche ad un restauro molto significativo, iniziato nel 1899 e terminato il 1901, proprio quando vennero alla luce gli elementi romanici ricordati ed altri visibili in parte sul pavimento della cripta e in parte all'interno della chiesa. Un ulteriore intervento di ristrutturazione risale al 1912.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La chiesa odierna si differenzia notevolmente dall’antica Pieve, in quanto negli anni ha subito numerose modifiche. Presenta una struttura a croce latina, con quattro cappelle laterali nel braccio principale e due nel minore, oltre al transetto con cupola ovata e volte a botte e a crociera sui bracci. Nonostante sia un'opera del secolo XVII, sopravvivono ancora degli elementi della prima chiesa romanica, come la cripta e alcune basi dei pilastri polistili della chiesa che dimostrano come la primitiva costruzione fosse a tre navi con volte, presbiterio rialzato e cripta. Proprio la cripta è stata in parte ripristinata con quattro colonnine sormontate dai primitivi capitelli e pulvini della fine dei secoli XI-XII. In particolare questi capitelli possono essere confrontati, per vigorosità ed ingenuità di intaglio, con i capitelli visibili nell'atrio di Sant'Ambrogio a Milano, con quelli della chiesa di Santo Stefano a Bologna e della Pieve di Rubbiano. Per quanto riguarda invece le colonnine, la prima possiede una decorazione a intrecci viminei nel pulvino e foglie spinose stilizzate nel capitello, mentre l'altra ha nel pulvino animali con decorazione floreale e nel capitello aquile angolari con le ali che terminano in fronde ricongiunte al centro del capitello. Inoltre la terza ha foglie stilizzate nel pulvino, con tortiglioni nei capitelli che sorreggono trecce e festoni e la quarta ha una decorazione a foglie stilizzate nel pulvino e nel capitello. Infine l’abside è a semicerchio con due finestre laterali e con al centro una tela ad olio di un autore ignoto, fatto eseguire da Ercole Medici nel 1645. Vi è raffigurata la Beata Vergine Assunta in cielo, con in basso a sinistra gli apostoli attorno al sepolcro della Madonna rimasto vuoto, mentre a destra spicca un gruppo di case con una chiesa e il rispettivo campanile che forse ritrae il borgo superiore della stessa Castellarano.
LETTURE CONSIGLIATE
O. Silipandri, Avanzi di architettura romanica in Castellarano, estratto dagli studi in onore di N. Campani n.1, 1921. Guida dell'Appennino Reggiano.
M. Piccinini, Guida di Reggio nell'Emilia, Reggio Emilia 1931
M. Schenetti, Castellarano - da rifugio di aborigeni a centro industriale, 1976
STORIA
La pieve di Santo Stefano in Tegurio si trova nella località di Godo, a pochi chilometri da Ravenna. Il nome Godo deriva da “guado”, e Tegurio dal fiume che scorreva vicino alla pieve (oggi è denominato fiume Lamone). Santo Stefano in Tegurio è annoverata tra le chiese fatte costruire dall’imperatrice Galla Placidia, che visse a Ravenna tra il 425 e il 450.
La pieve di Godo risulta menzionata per la prima volta nell atto di donazione alla diocesi di Ravenna nel 963. La chiesa ha subìto diversi rimaneggiamenti e nei primi decenni del 1700 venne completamente modificata in forme barocche. L’abside venne demolita per ampliare il coro: la nuova chiesa misurava nove metri in più della antica. Nuovi restauri furono eseguiti nel 1823 e anche la facciata venne ricostruita in forme baroccheggianti. Tale struttura rimase immutata fino al 1944, quando, con il crollo del campanile causato da mine tedesche, furono distrutti l’abside e il coro. Quattro anni dopo la pieve venne ricostruita nelle sua forma originaria.
Le varie ristrutturazioni non rendono facile la datazione della pieve, ma dagli esami effettuati sull’ antica struttura gli studiosi propendono a collocarla al IX secolo (la sua fondazione potrebbe però essere databile anche intorno al V - VI secolo).
NOTIZIE STORICO – ARTISTICHE
La ricostruzione del 1948 ha ripetuto fedelmente la forma originaria della pieve (salvo il campanile, ricostruito ex novo). Di originale tuttavia rimane la sola fiancata settentrionale. Le fiancate sono intervallate da lesene che racchiudono sei finestrelle. L’abside è stata ricostruita sulle antiche fondamenta e si presenta eptagonale allo esterno e circolare all’interno, con tre piccole monofore.
La facciata a spiovente è ritmata da quattro lesene che scandiscono la ripartizione interna in tre navate. Si accede all’edificio da una porta centrale sovrastata da una bifora. All’interno i pilastri in cotto presentano un’ appendice rettangolare che si prolunga fino al tetto, formando volte con arcata a doppia ghiera. Il campanile quadrato fu ricostruito un decennio più tardi nella stessa posizione del precedente, ma diminuito in altezza per risultare più proporzionato alla pieve. Esso è in muratura con mattoni a vista, con trifore e bifore che vanno dall’alto verso il basso.
La pieve di Santo Stefano, benché ricostruita, è un classico esempio di architettura protoromanica: lo si vede dall’uso di lesene dette “lombarde”, dalla tipica ripartizione in tre navate e dal materiale impiegato (mattoni).
L’architettura esarcale, o deutero – bizantina ravennate, ci ha consegnato molte belle chiese e pievi semplici, geometricamente voluminose, compatte e pure, con decorazioni sobrie ( solitamente archetti ciechi nelle fiancate) e imponenti campanili decorati con trifore e bifore, spesso rotondi, ma a volte quadrati (come in questo caso) e che svettano isolati al fianco della chiesa.
LETTURE CONSIGLIATE
“Il romagnolo” periodico n. 36, 2005.
Le pievi dell’esarcato, a cura di Andrea Baroni, Ravenna, 2000.
STORIA
La Pieve di San Bartolomeo a Paullo, una delle più antiche della collina reggiana, è un prezioso esempio di architettura romanica, sita nel comune di Casina e risalente al IX secolo. É stata infatti menzionata per la prima volta il 14 Ottobre 980 nel diploma emanato dall'imperatore Ottone II, in cui venivano elencati i beni della chiesa di Reggio Emilia. La pieve ricompare nei successivi documenti ufficiali quali i diplomi imperiali di Federico I, di Enrico VI, di Federico II e negli atti dei pontefici Lucio II ed Eugenio III. Nel 1302 il nome della chiesa figura anche nell'elenco delle decime con numerose cappelle figliali, per poi riapparire con il titolo di "plebana di San Bartolomeo di Lezolo" nel 1575, nello stesso anno in cui viene stabilito di costruire il pavimento in mattone e di risistemare la travatura del tetto. La Pieve di Paullo è quindi una chiesa originariamente romanica che però ha subito diversi interventi di ristrutturazione e di rimaneggiamento nel corso dei secoli. A questo proposito un restauro massiccio, realizzato dopo il 1990, ha irrobustito la struttura dell'antica chiesa, privandola però del suo antico fascino. Tra l'altro, quando fu danneggiata dal sisma avvenuto nel dicembre del 2008, la pieve venne chiusa al culto e rimase per lungo tempo in uno stato di pericolante precarietà a causa dei suoi cedimenti strutturali. Ma recentemente è stata sottoposta ad efficaci interventi di recupero e di consolidamento statico, che hanno mirato a ripristinare l'aspetto originario di una chiesa così antica.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Partendo dalla sua struttura esterna, la facciata possiede un profilo a capanna ed è rivolta a ponente, secondo l'orientamento liturgico. Presenta inoltre un portale architravato con un riquadro timpanato superiore che reca un'epigrafe, in cui è riportata la dedica a San Bartolomeo ed in alto, a lato, si aprono due finestrelle. Le parti più recenti delle murature, che sono costruite in sassi, si differenziano dai paramenti più antichi che sono in pietra arenaria tagliata. Il primitivo abside, affiancato dalle due absidi minori ora scomparse, ha subito una completa ricostruzione; infatti l''abside attuale è in gran parte realizzato in sasso a cui sono frammezzate delle pietre squadrate forse appartenenti al primitivo impianto. Passando alla struttura interna, quest'ultima è costituita da una pianta basilicale a tre navate divise da sei colonne rotonde in pietra tagliata su cui si impostano quattro archi a tutto sesto. Infine i capitelli delle colonne sono di carattere romanico, tagliati ai lati fino a formare quattro facce che terminano in basso a semicerchio ed uniti agli angoli dove vi è una piccola maschera a forma di testina umana appena abbozzata. Simili sono anche i mezzi capitelli dei due pilastri che fiancheggiano la porta d'ingresso mentre quelli degli altri due a fianco dell'altare maggiore appaiono romanici di tipo corinzio, con di foglie d'acanto, ricci e volute, recanti nel plinto superiore due fregi diversi.
LETTURE CONSIGLIATE
Cremona - Casoli, Notizie di località e di antichi paeselli poco conosciuti nella montagna reggiana, in La Giovane Montagna, Parma 1940.
A. Montruccoli, Paullo di Casina, Reggio Emilia 1959.
F. Milani, Paullo, la Pieve e la parrocchia, in Pieve di Paullo, a cura di S. Govi, Reggio Emilia 1980.
STORIA
Nell'Oratorio di San Giorgio a Guastalla domina un'atmosfera particolarmente suggestiva ed intima grazie alla sua dimensione raccolta e silenziosa, unita al raffinato gioco degli elementi architettonici. Questo monumento, di chiara impronta romanica, presenta un'origine assai antica, tanto da essere citato come dipendente dalla pieve di Guastalla in un documento del 1070, dove sono elencati i beni che il marchese Bonifacio di Canossa ricevette dal vescovo di Reggio. Ma si ritiene che la sua fondazione sia addirittura anteriore, forse ascrivibile alla fine del IX secolo. Con il passare del tempo la chiesa subì numerose alluvioni per la vicinanza del Po e l'instabilità del terreno paludoso. Infine nel 1967 si dette inizio ad un radicale intervento di restauro, evidente soprattutto all'esterno, che è riuscito a recuperare il suo aspetto pienamente romanico e il livello originario del pavimento, a ripristinare la muratura e a consolidare la facciata insieme all'abside.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
É una chiesetta di piccole dimensioni, costruita interamente in mattoni, che presenta una pianta a tre navate e tre absidi. La facciata mostra un profilo a due salienti ed è tripartita da lesene a cui si addossano dei contrafforti che hanno sezione semicircolare e terminano con un semicono. Il portale è interamente in mattoni, ad eccezione dell'architrave in pietra e della lunetta in marmo che riporta il bassorilievo di San Giorgio. Sopra il portale si aprono due monofore strombate, sormontate da una finestra a croce. Tra le lesene corre una fascia sottogronda di archetti pensili. La testata di fondo delle navate ripete gli stessi motivi della facciata, con quattro lesene raccordate da archetti pensili e una finestra a croce nella cuspide. Alle testate sono addossate le tre absidi e quella centrale prevale per dimensioni e decorazioni sulle laterali minori che sono cieche. L'abside maggiore è inoltre spartita da lesene in tre campi, in ognuno dei quali si apre una monofora sormontata da una fila di cinque archetti, in cui vi sono piccoli fornici. In questo modo si sovrappone un coronamento cilindrico ad una calotta absidale emisferica, come è visibile nella absidi laterali dell'abbaziale di Nonantola. Passando alla sua struttura interna, dove predomina la muratura originaria, l'oratorio presenta una pianta basilicale, dove le tre absidi sono coperte a capriate, divise in cinque campate da cinque coppie di tozzi pilastri cilindrici in mattoni, con capitelli a cubo smussato e basi rettangolari. Infine l'ultima coppia di pilastri prima dell'abside è costituita da una sezione quadriloba, formata da semicolonne. Le due che si affacciano alle navate appaiono come semplici contrafforti con una funzione semplicemente estetica, proseguono lungo la parete e terminano con un semicono a muro, come i due contrafforti presenti ai lati della facciata.
LETTURE CONSIGLIATE
AA. VV. L'Oratorio di San Giorgio. Guastalla, s. d. (opuscolo edito in occasione dei restauri del 1967).
S. Stocchi, San Giorgio a Guastalla, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
S. Storchi, Guida a Guastalla, Bari 1984.
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