STORIA
Secondo la tradizione fu San Vittore, primo vescovo piacentino, a fondare la basilica in una zona denominata Valle Nobile e qui venne sepolto nel 375. A lui inizialmente la chiesa venne intitolata, ma nel 400 il vescovo Savino fece traslare le spoglie di Sant’Antonino martire (303), che divenne poi insieme a Vittore il co-patrono della città. Con la nuova intitolazione al martire, la basilica fu per alcuni secoli la prima cattedrale e mantenne per lungo tempo un ruolo di preminenza spirituale e politica: infatti nel 1183 fu il luogo prescelto per l’incontro tra i messi imperiali ed i rappresentati della Lega Lombarda in occasione della firma della pace di Costanza. Invero, Sant’Antonino venne sostituita come cattedrale nel 758, quando all’interno delle mura cittadine fu eretta San Giovanni de Domo, a sua volta rimpiazzata da Santa Giustina. Nell’870 la semplice basilica paleocristiana venne invece ampliata con la costruzione di un transetto e di un tiburio quadrato impostato sull’incrocio. Questa chiesa fu ripetutamente devastata dalle scorrerie ungare del X secolo, e, nel 1004, il vescovo Sigfrido promosse l’erezione di un terzo e nuovo tempio, i cui caratteri pre-romanici e la perimetria permangono sostanzialmente nell’edificio odierno. Numerose furono nei secoli della Modernità le modifiche e le ristrutturazioni del complesso, in particolare nel 1693 l’interno fu trasformato secondo il gusto Barocco, per poi essere completamente rimaneggiato secondo la cultura neomedievale ottocentesca nel 1853. La complessità strutturale di Sant’Antonino, la preminenza della sua storia e l’unicità di alcuni suoi caratteri architettonici, la eleggono ad uno dei più importanti complessi cultuali di Piacenza, vero scrigno di alcuni preziosi tesori artistici.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Le vicende storiche e l’evoluzione del gusto architettonico hanno inciso profondamente sulla struttura e sulla varietà stilistica pertinente al complesso basilicale piacentino. La mole dell’edificio innalzato dal vescovo Sigfrido ha in qualche modo inciso anche sugli interventi successivi, donando una spettacolarità unica alla chiesa e determinando una mescolanza di stili che riescono ad amalgamarsi in maniera sorprendentemente armonica. Il cotto è certamente il leitmotiv della costruzione e il sobrio mattone padano diventa così il collante che permette quest’affascinante amalgama strutturale. La pianta è a croce latina rovesciata, con il transetto preceduto dalle navate e la grossa torre ottagona che s’innalza al di sopra dell’incrocio. Inoltre, nel 1350 per opera di Pietro Vago venne costruito un grande atrio, chiamato il “Paradiso”, che in forme gotiche lombarde ha la funzione specifica di esaltare l’ingresso principale. Come anticipato, gli interventi dell’XI secolo ricostruirono sostanzialmente l’edificio preesistente, la pianta a croce latina venne ruotata di quarantacinque gradi, il braccio est venne allungato e vennero innalzate tre navate terminate da absidi. In questa fase venne innalzata la grande torre aperta con tre piani di bifore e venne costruito un chiostro sostituito nel 1523 dall’attuale in forme rinascimentali. Sempre nel periodo romanico, verosimilmente nel XII secolo, l’ingresso principale fu corredato da un bel portale scolpito di matrice antelamica: sugli stipiti infatti la raffigurazione dei Progenitori sottende i modelli del maestro padano tradotti però in un gergo più schietto ed essenziale. L’interno della chiesa, in origine probabilmente cassettonato, venne coperto con volte ogivali nel 1453, mentre i capitelli originari a cubo smussato sono attualmente celati dai rifacimenti successivi. Dalla copertura quattrocentesca emerge invece un interessante fregio pittorico databile all’XI secolo: questa remota testimonianza della decorazione romanica doveva probabilmente svilupparsi su due registri e ricoprire le pareti secondo il gusto dell’epoca. In tal senso le figure dei profeti dalla schietta frontalità trovano però tenui accenti naturalistici grazie al loro inserimento in un loggiato dipinto. Tali figure dovevano sovrastare scomparti pittorici narrativi svolti in un profluvio di cromie, ad essi verosimilmente si deve correlare l’affascinante Giudizio Universale, i cui lacerti, emersi nel braccio ovest del transetto nei restauri degli anni ottanta, testimoniano la qualità della bottega operante e la maturità del lessico pittorico bizantino, probabile testimonianza della volontà di una committenza erudita e raffinata.
LETTURE CONSIGLIATE
S. Stocchi, Sant’Antonino a Piacenza, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
L. Bertelli, Restauro e consolidamento di Sant’Antonino antica cattedrale di Piacenza, Casalecchio di Reno 1991.