STORIA
La fondazione della pieve matildica dedicata a San Giacomo, che è considerata come il monumento più antico del comune di Formigine, è strettamente legata alla storia della frazione di Colombaro. La chiesa romanica viene ricordata per la prima volta già in un documento del 1127 come dipendente dal monastero reggiano di Santa Maria di Marola. I monaci di Colombaro cercarono spesso di sottrarsi al monastero benedettino, facendo ricorso anche al coinvolgimento del papa. Nel 1252 l’abate di Marola in visita al monastero di Colombaro non fu ricevuto dal priore, tanto che fu necessario un nuovo intervento pontificio per convincere i monaci a sottomettersi. Il complesso religioso doveva comprendere, oltre alla chiesa e al convento, anche un ospedale e un ospizio per il ricovero dei pellegrini, in quanto questi ambienti sono citati nei documenti che risalgono al 1162. Durante il Quattrocento, la chiesa cominciò a ricoprire un ruolo di notevole influenza, divenendo una delle comunità religiose più importanti della diocesi di Modena. In questo periodo vengono realizzati anche degli affreschi, recentemente rinvenuti nel sottotetto dell’edificio adiacente alla pieve, che sono stati intesi come un tipico esempio del gusto rinascimentale padano. Quando invece nel Seicento la chiesa assunse la funzione di parrocchia, fu sottoposta alla consueta trasformazione in forme barocche, le quali vennero quasi del tutto cancellate in seguito alle recenti opere di restauro. Gli interventi novecenteschi cercarono infatti di restituire alla pieve il suo aspetto originariamente romanico. Inoltre intorno al 2011 è stato intrapreso un nuovo progetto che mira ad una riqualificazione della località di Colombaro, a partire proprio dall'area della pieve romanica. L'obiettivo di questo piano è quello di trasferire nella chiesa, che ha già un fondamentale valore culturale ed artistico, una nuova valenza aggregativa, valorizzando il suo pregio storico-architettonico attraverso la costruzione di nuova piazza che dovrebbe diventare il centro nevralgico della frazione.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La facciata di questa chiesa, costituita da una sola navata e affiancata dal campanile settecentesco, fu completamente rifatta in occasione di un restauro nel 1963. Questo intervento, terminato nel 1975, ha cercato di mettere in luce la sobrietà romanica della pieve. Fu inoltre aperta la bifora in facciata, ponendo sulla colonnina un capitello romanico dell’antico edificio. Autentiche risultano anche le monofore del fianco meridionale e lo zoccolo sui lati. Dell’antica struttura restano anche il paramento lapideo esterno in conci squadrati di arenaria e una piccola bifora visibile tra la chiesa e la canonica. All’interno, si possono ammirare ai lati del coro due copie tratte dalla pala della Madonna del Voto di Modena eseguita da Ludovico Lana e un’immagine settecentesca di San Giacomo Apostolo al centro. Infine il fastoso altare a intarsio marmoreo risale alla metà del Settecento.
LETTURE CONSIGLIATE
F. Bisi, Brevi notizie sulla chiesa del Colombaro nel cinquantennio 1793-1843, in La valle del Tiepido, Modena 1973.
G. Pistoni - F. Donati, La rinnovata pieve romanica di Colombaro, Modena 1976
R. Fiorini - F. Bertolani, Colombaro. Borgo tra storia, attualità e leggenda, Modena 2009
STORIA
La prima notizia storica sulla pieve di San Giovanni in Compito, situata nella città romana di Compito a poca distanza dall'attuale Savignano sul Rubicone, si riscontra in un papiro ravennate del 633 che documenta la presenza di un edificio religioso in ambito rurale. É probabile però che la chiesa di San Giovanni esistesse già intorno al 600, epoca nella quale la città di Compito, che sorgeva ad un quadrivio della via Emilia, fu distrutta dai longobardi. Se ne perdono poi le tracce fino al X secolo, quando ricompare nel codice Bavaro in cui si attesta la sua esistenza proprio con il titolo di “pieve”. Ma nel 1359 l'intervento di strutturazione urbana del borgo di Savignano segna il tramonto della pieve, che viene sempre più declassata a chiesa rurale e periferica. Questa decadenza si protrarrà finché, a partire dal XIX secolo, non saranno intrapresi importanti lavori di ammodernamento. Fu anche l'impegno di don Giorgio Franchini a valorizzare e rivitalizzare l'antico insediamento e la sua storia, attraverso l'apertura del museo archeologico nel 1930. Inoltre la chiesa attuale conserva numerosi resti di muratura risalente al VII secolo soprattutto nella parete meridionale, ma per il resto si mostra come un'opera pienamente romanica, ascrivibile al secolo XI. A questo proposito la facciata appare pienamente romanica e ben conservata soprattutto in seguito ai restauri della metà del Novecento che hanno riparato i danni della seconda guerra mondiale. É andata perduta, invece, l'abside originaria che, essendo pericolante, fu demolita e sostituita con una parete rettilinea. Proprio nel corso di questi restauri novecenteschi, durante il rifacimento del pavimento, si sono ritrovate anche le fondazioni dell’originaria abside semicircolare distrutta pochi anni prima del 1827.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Partendo dall'esterno, la facciata presenta un semplice profilo a capanna, caratterizzato da una monofora e da una bifora originale sopra il portale, rimesse in luce durante i restauri del Novecento. Di grande interesse risulta la muratura della facciata, in quanto larghi tratti in mattone rosso si alternano ad alcuni in arenaria e ad inserti marmorei che utilizzano pezzi di spoglio. Inoltre l'architrave del portale, scolpito a treccia e costituito da una lastra di marmo, è da considerare come un vero e proprio elemento di reimpiego del VII secolo. Passando all'interno, la struttura a navata unica si presenta come una sobria sala intonacata, dove nella parete meridionale l'intonaco si interrompe per due ampi riquadri, mostrando la muratura seicentesca in pietra. All'interno della chiesa sono visibili due pregevoli capitelli romanici di tipo cubico (ora impiegati come acquasantiere), risalenti all'XI secolo e decorati con foglia di acanto, figure diverse sulle quattro facce dei capitelli e grappoli d'uva. Sempre allo stesso periodo va ascritto il capitello frammentario che regge il leggio presso l’altare, decorato con intrecci floreali e figure. Nella struttura dell'edificio cultuale sono presenti diversi pezzi di reimpiego scultoreo come le due lastre in marmo rosa di Verona, una collocata come mensa dell’altare e l’altra utilizzata come soglia d’ingresso della Pieve, che costituiva probabilmente una lastra di base per la balaustra di un recinto funerario. Infine, all'interno della canonica adiacente alla pieve sono stati raccolti tutti i reperti rimasti dell'antica Compitum.
LETTURE CONSIGLIATE
G. Franchini, Catalogo-guida del museo archeologico dell'antico Compito romano e della chiesa di S. Giovanni in Compito, Savignano sul Rubicone 1975.
S. Stocchi, San Giovanni in Compito, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.Scarpellini, Museo archeologico del Compito: guida al museo archeologico del Compito e alla pieve di S. Giovanni in Compito, Verucchio 2000.
STORIA
Le origini della pieve romanica di Santa Maria della Neve, strettamente collegate alle origini del borgo di Quarantoli, appaiono molto remote. La chiesa, eretta già nel IX secolo, è documentata a partire dal 1044, quando costituiva un importante centro della vita culturale e religiosa del territorio al pari della vicina e più famosa Abbazia di Nonantola. Poi venne completamente rifatta nel XII secolo su iniziativa di Matilde di Canossa, all'epoca dell'infeudazione ad Ugo di Manfredo. Invece la data riportata dalla mensa dell'altare, ovvero il 15 novembre 1114, fa riferimento solo al rito di consacrazione della pieve. Dopo i restauri quattrocenteschi, nel 1670 fu trasformata in quelle linee barocche che si sono conservate chiaramente nella facciata. Successivamente, gli interventi di restauro del 1915 se da un lato cercarono di mettere in luce le caratteristiche romaniche, dall'altro apportarono delle modifiche molto radicali come il raddoppiamento in lunghezza e l'aggiunta alle navate di un presbiterio circondato dal deambulatorio, elementi che dobbiamo escludere se vogliamo ricostruire l'impianto romanico della pieve. Difatti, solo le navate rappresentano la vera struttura originale della chiesa romanica, che presenta una pianta basilicale, costituita da tre absidi e divisa in cinque campate da archi risegati che poggiano su pilastri bilobati.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Il dato più interessante di questa pieve, così restaurata sotto l'aspetto architettonico, è l'arredo scultoreo. Infatti sul lato meridionale della navata è stato ricostruito un pulpito dove sono murate sei sculture romaniche, che raffigurano i quattro simboli degli Evangelisti. Sulla fronte, i tre Evangelisti (Marco, Luca e Giovanni) sono rappresentati dai simboli rispettivi del leone, del toro e dell’aquila, invece sul fianco destro è visibile il rilievo che riporta la figura dell'Evangelista stesso, Matteo. Queste sculture, databili ad un periodo compreso tra il XII e il XIII secolo, esibiscono una forte influenza del cantiere modenese e vengono attribuite alla scuola di Wiligelmo, il grande artista che realizzò i rilievi del Duomo di Modena. Inoltre il pulpito poggia su due telamoni in pietra raffiguranti un ragazzo ed un vecchio accucciati, la cui resa dei caratteri fisionomici e delle espressioni di sofferenza è molto interessante. Sul lato sinistro del presbiterio è stata costruita una loggia riutilizzando dei capitelli su colonnine provenienti probabilmente da un chiostro scomparso. Si tratta di capitelli a stampella molto originali, eleganti e robusti. La parte anteriore presenta una protome di animale mentre quella posteriore presenta una voluta di fogliame. Altri sono invece caratterizzati da protome leonina o da una testa umana con grosse corna di montone, grossolanamente scolpita. Per quanto riguarda la mensa d'altare invece, quest'ultima è sorretta da un pilastrino con capitello cubico decorato da foglie inclinate e da un capitello decorato a volute che poggia su un fascio di colonnine unite da un nodo. Questo complesso scultoreo, forse proveniente da un chiostro distrutto, mostra una notevole eleganza formale e viene solitamente attribuito alle maestranze attive a Modena in epoca tardo-romanica.
LETTURE CONSIGLIATE
E. P. T. Modena. La pieve di Quarantoli, Modena 1972.
S. Stocchi, La pieve di Quarantoli, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
Quarantoli e la sua pieve nel Medioevo: atti della Giornata di studio, domenica 28 ottobre 1990 / a cura di Bruno Andreolli e Carluccio Frison, San Felice sul Panaro 1992.
STORIA
La Pieve di San Giovanni Battista situata a Renno, una piccola frazione di Pavullo nel Frignano, si presenta come un monumento così suggestivo ed enigmatico che nella sua forma attuale resta ancora di difficile interpretazione. L’epoca di fondazione non è del tutto certa, in quanto le sue origini potrebbero risalire al XII secolo o addirittura rimandare ai secoli VIII - IX. Quando nel 1157 la sede plebana della prima chiesa cristiana di San Vincenzo a Monteobizzo venne trasferita, per le sue cattive condizioni, proprio alla pieve di San Giovanni Battista di Renno, quest'ultima divenne la più influente dell'appennino modenese, con giurisdizione su oltre trenta chiese. Nel corso del XVIII secolo subì una ricostruzione, come viene confermato dall'iscrizione in facciata ma, ad eccezione dell'abside e del campanile settecentesco, non è facile individuare l'età delle varie parti della muratura eseguita rusticamente in pietra.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La facciata a capanna, priva di decorazione e con un portale architravato al centro, appare molto antica, ad eccezione dell'apertura di tre finestre settecentesche. Infatti sono proprio le sovrastrutture settecentesche, quali soffitti e intonaci, che non permettono di scoprirla fino in fondo e forse il suo fascino deriva in parte anche da questo aspetto così enigmatico. In seguito, l'intervento di restauro che risale al 1782 ha inciso in maniera evidente sulla sua struttura esterna, a tal punto da determinare la sostituzione del portale e l'apertura di finestroni nella facciata e nell’abside. La pianta della pieve è basilicale a tre navate, monoabsidata, a quattro campate. La copertura in legno con travi a vista dipinte è frutto di un rifacimento settecentesco. Invece nell’abside e nel lato nord dell’edificio si notano i caratteri originali delle mura perimetrali, rimasti intatti nelle prime file di pietre squadrate a differenza dei tratti irregolari presenti nel resto della muratura che evidenziano gli interventi avvenuti nelle epoche successive. L’interno della chiesa si apre sulle tre navate sorrette da pilastri, quattro dei quali presentano una curiosa forma ottagonale, che potrebbero essere anche un indizio dell’età antica della chiesa. Infatti gli elementi più interessanti e suggestivi sono caratterizzati proprio dagli archi e dai sostegni intonacati che appartengono all'originale costruzione romanica. Tra i sostegni figurano coppie di pilastri rettangolari e ottagonali: i primi terminano con una cornice tra pilastro ed arco; mentre gli ultimi possiedono capitelli a tronco di piramide con spigoli incavati dove sono incise delle rosette. Quest'ultime sono state interpretate come un monogramma di Cristo disposto a ruota, simili a quelle ravennati visibili in Sant'Apollinare in Classe. Le diverse congetture su queste colonne ottagonali e sui relativi capitelli hanno indotto ad ipotizzare origini franche o bizantine, con proposte di datazione risalenti anche al IX secolo.
LETTURE CONSIGLIATE
F. Richeldi, Renno di Pavullo, Modena 1984.
S. Stocchi, La pieve di Renno, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
A. Pini, Renno. Splendore e declino di una pieve del Frignano. Il feudo Montecuccoli e la comunità, Pavullo 2003.
STORIA
Al di sopra di una ripida roccia nel borgo di Rocca Santa Maria, frazione di Serramazzoni, si erge la pieve dedicata a Santa Maria Assunta, una delle più suggestive e più antiche della montagna modenese. La chiesa, edificata tra l'VIII e il IX secolo, sorgeva in un luogo sacro dove un tempo si trovava anche un castello, che apparteneva al marchese Bonifacio di Toscana. Sua figlia Matilde di Canossa nel 1108 decise di donare la pieve al vescovo di Modena, Dodone. Oggi di quell'antico complesso non restano tracce del castello e rimane solamente la chiesa che è annoverata negli antichi cataloghi delle chiese modenese come una delle maggiori plebani della zona. Durante il corso degli anni ha subito numerosi interventi di restauro come l’innalzamento del pavimento e la conseguente riduzione in altezza delle colonne che dividono l'interno in tre navate. Anche se la pieve verso la metà del XVIII secolo fu trasformata in linee barocche, le successive campagne di rifacimento iniziate nella prima metà del Novecento furono capaci di restituirle il suo aspetto originariamente romanico.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La chiesa di Santa Maria Assunta è interamente costruita in pietra arenaria del luogo e provvista di una muratura con conci ben squadrati. La facciata presenta un profilo a due salienti ed è aperta da un solo portale e da una piccola bifora al centro. Le absidiole sono molto ridotte rispetto all'abside centrale che è in vista nella sua struttura sobria, rotonda e, come da tradizione, rivolta verso oriente. L'interno della pieve, che appare semplice e maestoso allo stesso tempo, mostra una muratura in pietra, solida e ben costruita. L'edificio, dalla forma basilicale, si articola in tre navate, divise da imponenti e ampi archi a tutto sesto che poggiano su quattro basse e tozze colonne monolitiche. La caratteristica singolare di questa chiesa è costituita proprio dalle proporzioni tozze dei pilastri cilindrici, che fanno apparire più alta la navata e più ampi gli archi. Inoltre queste colonne hanno conservato splendidi capitelli scolpiti che risalgono al secolo XI, diversi fra loro per forma e per composizione ornamentale. Si contano in tutto otto capitelli, i quali rappresentano un insieme scultoreo omogeneo di particolare pregio per la notevole accuratezza con cui sono stati eseguiti. Le decorazioni sono infatti caratterizzate da intrecci vegetali, foglie di palma, nastri, volute, rosette e altri motivi di gusto arcaico. Questi capitelli dall'intaglio vigoroso, che vengono spesso ascritti al 1140, si annoverano tra i più interessanti dell'Emilia Romagna. Infine appaiono degni di nota anche le basi delle colonne che mostrano dei paraspigoli scolpiti: nella prima colonna a destra si distinguono motivi vegetali, mentre nella seconda sono raffigurate teste di animali che rappresentano figure demoniache simbolicamente schiacciate dal peso della chiesa.
LETTURE CONSIGLIATE
F. Richeldi, Rocca S. Maria, Modena 1971.
S. Stocchi, Rocca Santa Maria presso Serramazzoni, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
Serramazzoni - storia e immagini / a cura di Eliseo Baroni; fotografie - Pieranna Gibertini, Beppe Zagaglia; testi - Ermanno Zuccarini, Fioranese 1995.
STORIA
Vicino al paesino medievale di Fiumalbo, in provincia di Modena, è situato l'oratorio di San Michele Arcangelo, la cui fondazione come chiesa romanica è testimoniata da alcuni documenti del XIII secolo. Intorno al Trecento, fu dedicata a San Michele, un santo molto venerato dai longobardi, com'è visibile nell'iscrizione sul lato nord dell'edificio. Nonostante la chiesa abbia successivamente subito una parziale distruzione, durante il Quattrocento fu avviata la realizzazione di alcuni significativi affreschi e del crocifisso ligneo policromo. Al Seicento invece risale la ristrutturazione dell'oratorio e il suo adeguamento liturgico al concilio di Trento realizzato da don Ottavio Lenzini, rettore della parrocchia di Fiumalbo, accanto alla decorazione con dipinti di santi e motivi floreali sui paramenti laterali. Dopo varie modiche e numerosi restauri ottocenteschi, nel 1931 fu avviata la costruzione del nuovo campanile a torre in sostituzione di quello a vela precedente. Poi, negli ultimi dieci anni, la chiesa di San Michele Arcangelo è stata sottoposta all'ennesimo restauro, fino all'adeguamento liturgico al Concilio Vaticano II.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La facciata della chiesa si presenta molto semplice, sobria e poco adorna, con l'ingresso dell'oratorio che appare preceduto da un portico a tre fornici, sorretto da alcune colonne. Lateralmente alla facciata si erge il campanile dell'oratorio novecentesco che termina con una guglia piramidale. L’interno della chiesa conserva ancora la sobrietà dello stile romanico e la sua copertura è sostenuta da capriate di legno. L'oratorio possiede una pianta rettangolare a navata unica la quale termina con un’abside semicircolare, di origine romanica che, con con le sue decorazioni della fine del XII secolo, rappresenta la parte più significativa dell'edificio. Infatti l'abside reca traccia dell'influenza dei maestri campionesi allora attivi nel cantiere del duomo di Modena. É inoltre contraddistinta da una cornice costituita da un semi-toro, lavorato a scacchiera e sorretto da tredici piccole mensole nel cui incavo sono scolpite per la maggior parte delle teste umane. Un intervento di restauro, da poco concluso, ha consentito di recuperare anche un cornicione dipinto che si trova lungo le pareti, decorato con motivi vegetali e santi rappresentati a metà busto. Inoltre se nella parte inferiore della navata sono visibili i conci di pietra arenaria naturale, nella parte superiore sul paramento due affreschi di pregevole valore artistico, probabilmente databili al 1400, raffigurano la "Madonna del cardo col Bambino" sulla sinistra e "San Michele Arcangelo" sulla destra dell'altare. A destra, in basso, si nota l’effigie del rettore della parrocchia, probabilmente anche committente dell’opera, don Ottavio Lenzini che tiene un libro fra le mani. In alto la Vergine Maria è dipinta con il Bambino seduta in mezzo alle nubi fra una corona di testine d’angeli. Infine sul lato sinistro della navata è visibile un'altra tela raffigurante la Madonna di Loreto in una ancona di legno e al centro dell'arco trionfale è situato il crocifisso ligneo policromo del secolo XV.
LETTURE CONSIGLIATE
A. Biondi, Fiumalbo, ipotesi per una storia, in I centri storici minori nell'evoluzione culturale dell'Appennino emiliano-romagnolo, Fiumalbo 1982
A. Magnavacca, Fiumalbo città d'arte, Modena 1991
R. Salvini, Il duomo di Modena e il romanico nel modenese, Modena 1966
La basilica della pieve di Guastalla è il più antico edificio religioso del guastallese ed uno dei più antichi dell'intera provincia reggiana. I primi documenti storici che la citano come cappella di San Pietro risalgono al IX secolo, tant'è vero che viene ricordata sin dall'anno 864 in un diploma di donazione di Ludovico II a favore della moglie Angilberga. Secondo altre fonti la chiesa fu edificata per la prima volta da Berengario I nel 915, ma è probabile che invece sia stata ricostruita su una chiesa già esistente. Dopo la successiva consacrazione papale di Gregorio V, la pieve svolse un ruolo fondamentale tra i possedimenti di Matilde di Canossa, a tal punto che nel 1095 fu scelta da papa Urbano II come la sede ideale per lo svolgimento di un sinodo. Anche papa Pasquale II la impiegò per un famoso concilio nel quale dovevano discutere della delicata questione delle investiture. Le vicende storiche ed artistiche della pieve si rivelarono ben presto particolarmente travagliate a causa dei continui interventi di trasformazione. Infatti, dopo che il terremoto distrusse la chiesa nel 1222, essa venne completamente ricostruita, rispettando lo stile lombardo, ma con dimensioni maggiori e con una pianta basilicale a tre navate absidate, scandite da pilastri con le volte affrescate. Poi incendiata e devastata durante l'assedio di Ercole II d'Este, la pieve fu abbandonata fino a quando venne riaperto al culto nel 1605, sebbene abbia sempre conservato un ruolo marginale di parrocchia periferica. Fu proprio durante il Seicento che fu rimaneggiata con linee prettamente barocche, successivamente eliminate dalla famosa campagna di restauro, avviata nel 1927. Questo decisivo intervento novecentesco riuscì a restituire alla chiesa quell'aspetto pienamente romanico che oggi possiamo ammirare.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La facciata, che presenta uno stile romanico-lombardo, è divisa da lesene con la parte centrale rialzata rispetto alle navate laterali. Il portale maggiore è preceduto da un protiro e tutta la chiesa, la cui struttura è in cotto, è decorata con archetti pensili, che si vedono anche nelle absidi. L'interno è caratterizzato da una lineare semplicità, in quanto è costruito con mattoni a vista, con soffitto in legno a capriate nella navata centrale e volte a crociera nelle laterali. Le navate confluiscono in tre absidi semicircolari. Su alcune colonne del presbiterio, sulle pareti delle navate laterali e all'ingresso della sacrestia, sono visibili alcuni affreschi di diverse epoche tra cui risaltano i soggetti, databili ai secoli XIII e XV, della "deposizione" e del "S. Bernardino”. Nella navata di destra si trova inoltre una Madonna di pregevole fattura, che è stata eseguita da Guido Mazzoni, artista emiliano attivo nella metà del Quattrocento. Sulla parete esterna sud vi sono tre formelle, risalenti al secolo XI, che raffigurano animali fantastici. Si notano infine una vasca battesimale da immersione risalente al IX-X secolo, una Madonna col Bambino in terracotta dipinta e alcuni affreschi eseguiti da pittori locali del XVI secolo.
LETTURE CONSIGLIATE
D. Arboit, Documenti storici di Guastalla (estratto dall’Archivio Storico Italiano), tomo 14°, Parma 1884.
M. Mussini, Il Romanico nel reggiano, Reggio Emilia 1980.
S. Stocchi, La basilica della pieve a Guastalla, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
NOZIONI STORICHE
L’abbazia di San Basilide sorge a Lesignano de’ Bagni, comune situato in territorio collinare, non lontano dalla città di Parma. La strada che la accoglie, rivestì un ruolo importante verosimilmente sin da epoche molto antiche, fu infatti punto di convergenza di importanti tracciati viari: attraverso quest’antica strada, detta passo del Lagastrello, dalla città di Parma si raggiungeva la Toscana, in tale percorso transappenninico viaggiavano pellegrini, commercianti e artigiani che trovavano ospitalità nei complessi monastici benedettini. La fondazione della basilica è dovuta alla committenza di San Bernardo degli Uberti, monaco vallombrosiano e vescovo di Parma dal 1109, che, per consolidare la propria azione spirituale, invitò la comunità dei vallombrosiani a radicarsi nell’isolata collina di Badia Cavana. Come per altri edifici riconducibili alla produzione romanica, la documentazione è modesta, i dati non tramandano quasi mai una precisa cronologia della fondazione, e nel migliore dei casi abbiamo solamente la prima menzione storica della loro esistenza. Dunque, anche per quanto riguarda l’abbazia di San Basilide, ci sono giunte informazioni poco probanti ma un punto riferimento importante è la prima documentazione che ne fa menzione, risalente al 1115. Nel corso della sua storia il tempio subì diverse trasformazioni: nel 1117, ad esempio, dopo un terremoto, si rese necessaria un’opera di ricostruzione della chiesa, e in questa fase elementi come il nartece vennero addossati alla facciata pur non facendo parte della struttura originaria.
NOZIONI STORICO- ARTISTICHE
L’abbazia è architettonicamente organizzata secondo il prototipo vallombrosiano, reitera dunque un’articolazione spaziale a navata unica con transetto sporgente e abside semi circolare. Sulla facciata della chiesa venne aggiunto nel XII secolo un portico a due arcate con loggia superiore ed ornato da capitelli con raffigurazioni evangeliche. Procedendo all’interno della chiesa troviamo accostata alla parete laterale sinistra una doppia scala, posta all’altezza dell’altare che scende fino alla cripta, dove ancora oggi sono conservate le spoglie del Santo al quale la chiesa è dedicata. Sul lato ovest dell’edificio sorge un chiostro, oggi inglobato in alcuni casamenti e dunque non visitabile. A meridione del tempio, incontriamo il refettorio e la sala capitolare, mentre la cripta sepolcrale degli abati e l’accesso alla chiesa riservato ai monaci, sorgono a settentrione della struttura. L’abazia rivela un assetto tecnico edilizio dall’ aspetto severo nel quale risultano peculiari ed efficacissime le essenziali linee e le sobrie colorazioni parietali. Il tempio, infatti, è costituito, come la maggior parte delle chiese presenti sul territorio emiliano romagnolo, da pietra locale, tagliata in conci perfettamente sbozzati e connessi tra loro, onde dare luogo ad una regolare cortina ad opus quadratum.
NOZIONI STORICHE
La Chiesa di Sant’Eufemia si trova nel pieno centro di Piacenza, nell’omonima via che la accoglie. Una lapide posta all’interno della sagrestia, datata 1091, ci racconta che la sua fondazione avvenne in seguito al ritrovamento, in una chiesa vicina, delle spoglie di Sant’Eufemia. La basilica fu dunque fondata (come dimostra l’epigrafe) intorno all’anno Mille, anche se la sua effettiva consacrazione avvenne nel 1108. Piacenza si caratterizzava, infatti, come uno dei più rilevanti centri del romanico del nord Italia, anche in virtù degli eventi storici che la videro protagonista di alcuni dei più importanti avvenimenti politici della Lotta per le Investiture. Nel XII secolo l’edificio subì i primi cambiamenti, alla primitiva forma basilicale, venne invero aggiunto il pronao (il portico costruito davanti la facciata centrale). Tra Tardo-Medioevo e Rinascimento allo stato degli studi non si registrano particolari cambiamenti della struttura. Nel Seicento e nel Settecento, invece, si ebbero ulteriori interventi di espansione e di rifacimento, la chiesa viene infatti adeguata agli stilemi barocchi. Nel 1836 sì rilevarono nella torre campanaria dei dissesti statici, e per tali motivazioni si rese necessaria la demolizione, grazie poi agli interventi di restauro ne venne ripristinato l’assetto. Nel 1898 poi, arrivarono a soccorso dell’emergenza artistica, le prime operazioni volte al consolidamento dell’opera, il restauro, portato avanti da Camillo Guidotti fino al 1904, tentò il ripristino dello stile romanico: vennero eliminate, infatti, tutte le parti aggiunte nel corso dei secoli, furono demolite quasi tutte le cappelle laterali, e venne ridisegnata parzialmente la facciata. La torre campanaria fu in questa occasione riedificata ma con stile neo-gotico, in realtà tutti gli elementi toccati in questo intervento subirono la medesima mutazione.
NOZIONI STORICO ARTISTICHE
La Chiesa presenta oggi una facciata che nella parte inferiore risulta autenticamente romanica. Il pronao della basilica è articolato in tre campate, dove vi sono elementi architettonici di notevole interesse, gli archi sono infatti incoronati da pilastri scolpiti con fogliame e figure zoomorfe immaginarie, che si configurano come un ottimo esempio dell’evoluzione stilistica della scultura regionale nel XII secolo, caratterizzata dall’attenzione all’effetto plastico e al dettaglio naturalistico. Non risulta invece autentica la parte superiore della facciata, infatti nei restauri effettuati nel 1898 Guidotti apportò opinabili modificazioni, riconducili agli stilemi dal gusto neo-gotico: a tal proposito esemplari sono i pinnacoli e il coronamento ad archi intrecciati. Procedendo verso l’interno, il complesso presenta una mappatura basilicale a croce latina, tre sono infatti le navate, suddivise in campate attraverso un sistema alternato da pilastri cruciformi in mattone: quattro campate nelle navata mediana e otto campate in quelle laterali. La copertura è determinata da volte a crociera costolonate, particolare che non si manifesta invece nelle navatelle laterali, mentre gli archi segmentati presentano l’alternanza della pietra e del mattone. Invero, nella partitura dello spazio cultuale, molti sono gli elementi che ci riportano alle linee romaniche ma arbitrarie scelte di ripristino dell’architettura originale generano una lettura che rende evidenti le anomalie.
La pieve romanica, isolata dalle case e immersa nel verde di San Faustino, piccola frazione di Rubiera, è una delle più antiche della diocesi reggiana. Infatti la prima notizia storica che documenta la sua esistenza come cappella si trova in un documento dell’archivio della Cattedrale di Reggio, pubblicato nell'anno 857. Dopo essere stata esplicitamente menzionata anche in un placito del 945 e ricordata successivamente nei vari rilievi imperiali da Ottone II e da Federico I, la chiesa viene elevata a pieve, dedicata ai santi martiri Faustino e Giovita, durante il pontificato di Urbano III, nel 1186. Quindi nonostante i restauri novecenteschi abbiano riportato alla luce, nel complesso absidale, le fondamenta dell'antico edificio che già esisteva nel IX secolo, la struttura attuale di questa pieve è ascrivibile proprio al secolo XII. Successivamente, dopo i numerosi rifacimenti del Seicento e a causa delle precarie condizioni della chiesa, verso il 1853 si decise di intervenire con l'intento di conferirle una struttura neoclassica, ma soltanto per quanto riguardò la sua struttura interna. Infatti la facciata, su consiglio del Dott. Malagola, fu ristrutturata conservando il suo aspetto più originario possibile sulla base di uno stile prettamente romanico-lombardo, di cui le absidi ne costituiscono un'evidente testimonianza. Questo progetto, affidato al Prof. Faccioli, che mirava a restituire alla pieve la sua primitiva struttura romanica, costituirà l'obiettivo principale anche dei successivi lavori eseguiti a partire dalla metà del Novecento.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Partendo dalla facciata, quest'ultima è ripartita da pilastri esterni rettangolari e, in mezzo, da quattro colonne semicircolari, di cui due medie minori e le altre maggiori, con coronamento ad archetti ciechi. La porta arcuata è ornata da colonne in marmo e da un tempietto sormontato da una bifora antica. Al culmine della facciata sono posti quattro pinnacoli ottagonali con le croci. Sulla facciata si possono anche ammirare le sculture del tempietto, i capitelli delle quattro colonne semicircolari, opera di Michelangelo Aschieri di Verona e la pittura che rappresenta i santi Faustino e Giovita, eseguita da Francesco Rivara di Parma. Nella parte posteriore della chiesa risultano particolarmente suggestive le tre absidi ripartite da lesene e caratterizzate dalla sequenza di archetti, dove alcune mensole presentano elementi geometrici ed altre riportano la raffigurazione di animali simbolici. Passando alla struttura interna della pieve, essa possiede una pianta basilicale a tre navate, divisa in cinque campate da coppie di pilastri in mattone, con capitelli in pietra. Dato che la sua architettura è stata col tempo ampiamente trasformata, solo in parte sono visibili alcuni elementi dell’antica struttura. All’interno si trova un tabernacolo in marmo di Carrara risalente al XVI secolo, oltre alla tela cinquecentesca raffigurante la vergine con il figlio e i santi protettori Faustino e Giovita, attribuita a Benvenuto Tisi detto il Garofalo. Infine, di notevole interesse artistico risulta anche l'affresco che rappresenta la Madonna in trono con il bambino, di impronta bizantina del XIII secolo, che è situato precisamente nella conca absidale.
LETTURE CONSIGLIATE
G. Saccani, La pieve di SS. Faustino e Giovita di Rubiera. Note storiche, Reggio Emilia 1924.
N. Artioli, La scultura romanica nella plebana di San Faustino di Rubiera, in In memoria di Leone Tondelli, Studio Teologico Interdiocesiano, Reggio Emilia 1980.
S. Stocchi, La pieve di San Faustino presso Rubiera, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
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